Aguirre, furore di Dio
Nella seconda metà del ‘500, una spedizione di conquistadores spagnoli parte per il Sud America. Muovendosi nell’intricata foresta amazzonica, i soldati sono alla ricerca della leggendaria città di El Dorado.
Nella seconda metà del ‘500, una spedizione di conquistadores spagnoli parte per il Sud America. Muovendosi nell’intricata foresta amazzonica, i soldati sono alla ricerca della leggendaria città di El Dorado.
“Due anni lui gira per il mondo: niente telefono, niente piscina, niente cani e gatti, niente sigarette. Libertà estrema, un estremista, un viaggiatore esteta che ha per casa la strada. Così ora, dopo due anni di cammino arriva l’ultima e più grande avventura. L’apogeo della battaglia per uccidere il falso essere interiore, suggella vittoriosamente la rivoluzione spirituale. Per non essere più avvelenato dalla civiltà lui fugge, cammina solo sulla terra per perdersi nella natura selvaggia”.
Un sogno e il tentativo di realizzarlo. Questo potrebbe essere il sottotilo ideale della pellicola di Werner Herzog.
Molti film hanno affrontato il tema della Natura e i problemi che emergono nell’istante in cui la specie umana non presta attenzione a ciò che la circonda. Long Weekend, tenta di proseguire questo filone spostandosi verso “il pauroso”.
In uno scenario post-apocalittico in cui vive la legge “ognuno per sé stesso”, un padre (Viggo Mortensen) e suo figlio (Kodi Smit-Mcphee) cercano invece di aiutarsi e proteggersi a vicenda lungo una strada “che porta al sud”. Attanagliati dalla fame e dal freddo, i due sopravvivono in questa civiltà regredita, scappando e nascondendosi da mendicanti affamati, incubi e cannibali organizzati in pseudo-gruppi.
“Un momento, aspetti che le spieghi una cosa: IO non sono il Signor Lebowski, LEI è il Signor Lebowski. Io sono Drugo, è così che deve chiamarmi, capito? O se preferisce Drughetto oppure Drugantibus oppure Drughino, se è di quelli che mettono il diminutivo ad ogni costo…”.