Alexander Zolotukhin: A Russian Youth


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ALEXANDER ZOLOTUKHIN

A Russian Youth

(Russia 2019, 73 min., col., drammatico)

Fra i discepoli e pupilli di Alexander Sokurov, oltre al più noto Kantemir Balagov, c’é da segnalare Alexander Zolotukhin. In A Russian Youth, il giovane regista russo è ovviamente influenzato dal maestro-produttore (forse troppo). Il lavoro sull’immagine, sul colore e sulla musica non possono non farci ricordare, infatti, i più grandi film di Sokurov. Da buon artigiano, Zolotukhin crea, lavora e modifica la materia come il maestro.

Scomponendo A Russian Youth, è possibile rendersi conto della complessità dell’opera e della necessità d’analizzare i vari ingredienti. Essi sono talmente evidenti al fruitore, infatti, che potrebbero anche dare fastidio: sono un pugno nell’occhio, non permettono di perdersi nella vicenda (e immedesimarsi nel personaggio principale) e, conseguentemente, non fanno dimenticare la realtà dello spettatore. In realtà, una volta mescolati ben bene, essi spariscono nella loro singolarità e sono letti nella totalità filmica. Si accede così a un altro livello di comprensione, fluido e scorrevole.

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Il regista non si limita a mostrare la vicenda di Alexei, un giovane soldato russo durante la Prima Guerra Mondiale, ma la mescola, a livello visivo e sonoro, con le prove contemporanee di un concerto di musica classica dell’Orchestra Sinfonica “Tavrichesky”. I musicisti, giovani come il protagonista, interpretano il Concerto per Pianoforte N.3 in Re minore op. 30 (1909) e le Danze Sinfoniche op. 45 (1940) di Sergei Rachmaninoff, sotto la guida del loro direttore. Lo spettatore non solo vede le prove e la storia di Alexei, ma ascolta anche la musica, i commenti del direttore d’orchestra e i dialoghi fra i soldati; il tutto,in un flusso continuo che ha senso nella sua totalità. Il risultato non è caotico, stentato o fastidioso, ma è un fiume vivace, dinamico e ritmato (le due opere del compositore che si alternano, la scelta di determinati frammenti musicali che sbattono con i consigli del direttore d’orchestra o, ancora, il ripetersi di alcune sequenze musicali).

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L’armonia non è data solo dall’aspetto sonoro. Questo è in sinergia con l’aspetto visivo e con lo scorrere della vicenda. Zolotukhin sceglie di aggiungere un filtro rovinato all’immagine, conferendole un’estetica vicina alle pellicole d’archivio a colori. Esso non è statico, ma evolve in simbiosi con la storia: nei momenti di guerra e di tristezza, la pellicola è più rovinata, come a sottolineare uno stato dell’anima (dello spettatore e di Alexei) turbato e irrequieto; nei momenti di gioia, di scherno e di frivolezza, ma sopratutto di calma, il disturbo diminuisce e sfuma, rendendo l’immagine simile a un dipinto. In questi frangenti Alexei si trova nella sua postazione in cima alla collina: rimasto cieco dopo un attacco col gas da parte dei tedeschi, gli viene affidato il compito di ascoltare il cielo con un enorme amplificatore metallico alla ricerca di aerei nemici. Il giovane Alexei e lo spettatore sembrano trovarsi in una bolla di piacere: Alexei si astrae dal caos della guerra e dall’indistinguibilità cacofonica dei rumori, per percepire suoni che altri non possono cogliere; lo spettatore, vedendo Alexei in pace, si rasserena e il suo stato d’animo s’allieta (anche perché, per l’appunto, l’immagine è meno rovinata e i suoni sono più qu ieti). Nonostante degli artifici ben evidenti (e che dovrebbero allontanare il fruitore), il giovane regista russo riesce a far immedesimare il pubblico con Alexei. A Russian Youth, insomma, è qualcosa di più che la somma dei suoi artifici.

Ma Zolotukhin va, addirittura, oltre. Nella sua postazione in cima alla collina, Alexei non può vedere gli aerei, il cielo, i suoi compagni o la campagna che lo circonda. Lo spettatore, invece, sì. Ma non viene mostrato quello che il protagonista non può vedere (l’elemento scenografico), bensì quello che lui può percepire. Si osservano, allora, le immagini mentali che nascono dall’udito di Alexei, simili al reale, ma non più tali. E allora il dubbio viene allo spettatore: quello che si vede quando Alexei è lassù nella sua postazione (gli aerei che bombardano il paesino, i soldati che rumoreggiano mettendo il filo spinato, gli uccelli e gli alberi mossi dal vento), è quello che accade veramente o è una leggera deviazione del reale, frutto della sua immaginazione? Ma non è proprio in questo dubbio che risiede, appunto, il fascino del cinema?

Mattia Giannone