Il grande Lebowski

Il grande Lebowski

(The Big Lebowski, Usa 1998, 117 min., col., commedia)

“Un momento, aspetti che le spieghi una cosa: IO non sono il Signor Lebowski, LEI è il Signor Lebowski. Io sono Drugo, è così che deve chiamarmi, capito? O se preferisce Drughetto oppure Drugantibus oppure Drughino, se è di quelli che mettono il diminutivo ad ogni costo…”.
Il caso di omonimia fra il magnate Lebowski e lo sfaccendato Jeffrey Lebowski (Jeff Bridges), il Drugo non è altro che un pretesto per raccontare la storia di una persona qualunque – non è un caso che, nella versione originale, il soprannome di Lebowski sia “the Dude” (il Tizio).
Due asiatici decidono di urinare sul tappeto di Jeffrey, un tappeto “che dava… un tono all’ambiente”, scambiando il protagonista per il magnate Lebowski. Andando a reclamare quello che gli spetta o almeno un suo sostituto dal suo omonimo miliardario, il Drugo verrà impiegato da quest’ultimo per recuperare la figlia, rapita probabilmente dagli stessi che hanno commesso l’errore di insozzare il tappeto sbagliato.
Drugo, questo antieroe pigro in vestaglia, bermuda e ciabattine da mare, amante dei White Russian, del bowling, dei Creedence e dei canti delle balene, si farà “aiutare” da due improbabili amici: Walter, un reduce del Vietnam (John Goodman) e da Donny, semplice e impacciato (Steve Buscemi).
Riusciranno i nostri “eroi” a uscire da questa storia? “Questo… questo è un caso molto, molto complicato […]. Un sacco di input e di output”, pertanto non sarà così semplice.
Dopo il successo di Fargo (1996), i fratelli Coen fecero centro con questa commedia, molto più matura del simpatico Arizona Junior (1987). Jeff Bridges sembra fatto apposta per il ruolo del Drugo, così come gli altri attori: Walter, il reduce di guerra, è mitico; per lui nella vita non c’è niente che non possa essere accostato, confrontato o paragonato al Vietnam (“Questo non è il Vietnam, è il bowling: ci sono delle regole”). Donny poi, è quello che porta avanti la squadra nel bowling; l’unico strike che non gli riesce è quello che, come un presagio, annuncerà la sua morte per infarto dopo un incontro ravvicinato con dei nichilisti.
Sì, dei nichilisti. Ci sono proprio tutti in questa pellicola: nichilisti pronti a sacrificare un dito del piede, un produttore e degli attori di film porno, la pittrice di arte vaginale (Julianne Moore) e il pederasta Jesus Quintana (John Turturro).
Una parentesi a parte la merita proprio Turturro. Favoloso il suo intermezzo sulla pista da bowling mentre balla al ritmo di Hotel California degli Eagles (“Lo hai detto hermano. No se escherza con Jesus!”) odiati a più riprese da Drugo che, invece, adora i Creedence.
Insomma, Il grande Lebowski dà veramente “un tono all’ambiente”.

Mattia Giannone