Miguel Gomes: Tabu (recensione)
Tabu
(Port., Ger., Bras., Fra. 2012, b/n, 118 min., drammatico)
Tabu è suddiviso in tre parti distinte, ma non separate: il prologo, Paradiso perduto e Paradiso. La figura del coccodrillo funge da garante, da osservatore e da punto di vista in tutte le parti e coincide (a mio avviso) con lo sguardo dello spettatore. Se nella prima parte viene raccontata una meravigliosa fiaba atemporale che introduce la pellicola, la prima parte, ovvero la quotidianità della bigotta Pilar, è ambientata nella contemporaneità. Il prologo e Paradiso perduto sono parti distinte, ma legate dal filo rosso del cinema e pertanto mai separate. Il prologo, infatti, coincide con la pellicola che Pilar sta guardando in una sala cinematografica. La visione della protagonista è lo sguardo dello spettatore incosciente di tale coincidenza. Paradiso perduto è un dramma sociale, alla Kaurismaki per intenderci, che culmina con la morte di una delle protagoniste, Aurora.Da ciò si passa a un ulteriore stadio, a un dramma romantico. Ventura narra l’avventura avuta con Aurora cinquant’anni prima in Africa. Due punti sono interessanti da segnalare, almeno sul piano narrativo. La prima è il passaggio da Paradiso perduto a Paradiso, ossia il gioco proposto da Gomes: Gianluca inizia a raccontare in un bar di un centro commerciale, fintamente decorato da una giungla di plastica che non può non richiamare, per ironia e per deficit, la vera foresta della successiva narrazione. L’altro aspetto è la scelta stilistico-narrativa di questa seconda parte. Gomes non esita a lasciare la voce narrante di Gianluca lungo tutto Paradiso. Solitamente un personaggio inizia a parlare e poi, non appena si passa alla visione di ciò che è raccontato, la sua voce si eclissa per lasciare spazio a quella dei personaggi dell’epoca del racconto. Qui succede esattamente il contrario: i personaggi della parte ambientata in Mozambico non parlano o, tutt’al più, muovono le labbra. Il film si lascia cullare dalla voce di Gianluca Ventura e dai suoni d’ambiente, senza mai ritornare, né alla fine né durante, banalmente sul personaggio maschile nella contemporaneità filmica.
Tabu è un film in bianco e nero, con una fotografia strepitosa di Rui Poças,. La prima parte, come ben nota Joachim Lepastier in Cahiers du cinéma n. 684, ha un’immagine più pulita, quasi piatta (bitonale) in 35 mm, mentre nella seconda essa possiede “una più grossa grana (16mm) e dei contrasti più violenti” (T.d.a). La pellicola di Gomes, nonostante Paradiso possa lasciar intendere, non è un omaggio al cinema muto, ma un’ermeneutica cinematografica. L’obiettivo è interpretare il passato per riproporlo nel presente non con un semplice “copia e incolla”, ma con una nuova linfa. Se Paradisosembra avere un’atmosfera da primo novecento, ad uno sguardo più attento ci si renderà conto, per esempio, che i bambini del Mozambico indossano magliette modernissime. Il “vecchio” risiede allora nel modo di mostrare un determinato evento, non nel “cosa” viene inquadrato: la scenografia di un film è riposta nel desiderio d’incredulità dello spettatore. Gomes mette sul piatto tutti gli ingredienti per farci credere che si tratta di qualcosa di antico, ma non si nasconde dietro un dito dicendo che ciò che vediamo è “passato”. Vedendo Tabu sullo schermo si sa che non c’è nulla di “vecchio”, ma lo spettatore desidera che ci sia, perché vuole entrare nella storia di Gianluca. Si vede la maglietta della squadra del Barcellona? Il gruppo musicale Mario’s Band e le loro canzoni sono surreali e fuori dal tempo? Non è importante perché è realizzato appositamente per l’occorrenza cinematografica e narrativa. Non spezzate l’atmosfera che Gomes magistralmente ha creato. Il cineasta portoghese non ci vuole ingannare, mostrando una finta Africa degli anni cinquanta. Ci mostra, invece, l’atto dell’inganno, della creazione artistica, della magia del cinema e della sua possibilità di “far credere in qualcosa”. Il tempo e lo spazio filmico risiedono nella mente dello spettatore.
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