Abel Ferrara: 4:44 Last Day on Earth
4:44 Last Day on Earth
(Usa 2011, 84 min., col., drammatico)
Nel filone dei film apocalittici d’autore sorti in questi anni, fra cui Melancholia e Another Earth, s’inserisce anche Abel Ferrara con il suo 4:44 Last day on Earth: pellicola che compare nella lista dei migliori film del 2012 secondo i ben noti Cahiers du Cinéma.
La Terra finirà alla 4:44, in un non meglio precisato giorno e l’umanità non potrà far nulla per impedirlo. Il dado è tratto. Cisco (Willem Dafoe) e Skye (Shanyn Leigh) affrontano le ultime ore del pianeta “vivendo”.
L’eco-apocalisse di Ferrara non è un’isterica presa visione della fine del mondo della collettività, ma un argomento introspettivo del singolo o, meglio, della coppia. Lo spettatore è costretto a vedere ciò che guardano i due protagonisti e qui risiede la debolezza della pellicola: Cisco segue gli speciali del telegiornale, pieni di interviste a esperti, politici (fra cui Al Gore); Skye ascolta le parole di un guru indiano, mentre dipinge.
Ferrara mostra ciò che si sa: l’uomo, animale sociale, nelle sue paure si isola aggrappandosi alle proprie certezze. Così come Cisco non s’interessa più di tanto al guru indiano (mentre sbava davanti al Dalai Lama), allo stesso modo Skye chiede di spegnere il televisore per non sentire i noiosi dibattiti scientisti. Tale solitudine apparente dell’Io, si annulla proprio nel rapporto con “l’altro”. I personaggi si ritrovano completandosi a vicenda: facendo l’amore, mangiando cinese, usando Skype o salutando i vecchi amici.
A differenza di Melancholia, nel quale non si sapeva come e cosa sarebbe stata la fine del mondo, o del mistero di Another Earth sull’altra Terra gemella, qui Ferrara mette l’uomo nella situazione difficile di sapere già il futuro: l’uomo morirà alle ora 4:44, si vedrà una grande luce e tutto finirà. Già si sa come sarà, non resta altro che viverla. Come reagisce un essere umano di fronte a “tutta questa conoscenza”? Cisco ha bisogno di comunicare, qualcuno di drogarsi, Skye di dipingere e meditare, qualcuno di uccidersi. In queste differenze risiedono, però, i punti di unione: gli esseri umani moriranno. Dal singolo, dalla paura del proprio Io, si passa all’uomo in quanto tale perchè tutti, nonostante le differenze, si trovano nella medesima situazione. La riflessione di Ferrara parte da Cisco e Skye per parlare dell’intero genere umano, legato insieme da questa inevitabile fatalità.
Le premesse sono buone, ma il buon Abel si perde cammin facendo. Dopo la bellissima scena d’amore, con allusivi e discreti primi piani, e l’evidenza della situazione su cui verte la vicenda, la pellicola diventa evanescente; non avanza di un solo passo e vaga nel limbo delle immagini televisive o nell’ossessività di Skye nel dipingere. Sembra non esserci speranza anche per lo spettatore, quando l’uscita notturna da casa di Cisco a passeggio per la città irrompe sullo schermo, lasciando al pubblico una bellissima immagine (seppur in digitale) del paesaggio urbano. Peccato che l’incontro con i suoi vecchi amici lascia sbigottiti (entra dalla finestra di casa loro!), così come il suo tentativo patetico di drogarsi.
Il finale molto bello, sul serpente Uroboro e sulla luce bianca, non boccia completamente la pellicola e, anzi, le permette di risalire sulla cresta dell’onda. Pare tuttavia esagerato inserirla fra le migliori dieci dell’anno.
Mattia Giannone