Melancholia: Lars Von Trier

Melancholia

(Danimarca, Svezia, Germania, Francia 2011, 130 min., col., drammatico)

Justine (Kristen Dunst) “deve” sposarsi. Il marito Michael (Alexandre Skarsgard) è innamorato di lei e nulla potrebbe rovinargli il giorno di nozze, se non proprio Justine. E’ quello che succede. Lei non lo fa per cattiveria, vorrebbe fingere di desiderare una vita normale, da sposati; vorrebbe rendere contento Micheal e forse l’amore è reciproco, ma non ce la fa: è invasa da una profonda malinconia che manda a rotoli i festeggiamenti del matrimonio.

Questa è la prima parte. La seconda, ha come protagonista Claire (Charlotte Gainsbourg) sorella di Justine. E’ lei che organizza i festeggiamenti per il matrimonio, è lei che si occupa della sorella, è lei che è a conoscenza della profonda malinconia di Justine, è lei che crolla psicologicamente quando saprà che il pianeta Melancholia è chiaramenete intenzionato a distruggere la Terra. E’ sempre lei che, nonostante tutto, non conosce realmente Justine.

Lars Von Trier è un folle, nel bene e nel male. Se non fosse per le sue esternazioni, sarebbe un genio e questo film lo dimostra. Il regista danese realizza una pellicola incredibile, riprende gli eventi come se fosse un personaggio del film; muove la cinepresa come se fosse un’occhio. Gli stacchi, sono solo lo sbattere delle palpebre di qualcuno presente nella storia. Ma andiamo per ordine.

La pellicola inizia con un prologo unico e meraviglioso, caratterizzato dalla musica di Richard Wagner (preludio del Tristano e Isotta). L’intro è, per l’appunto, un preludio di ciò che succederà nel film portato a un livello altro nella narrazione, portato a simbolo. Si stacca dalla percezione umana, quella che emergerà nel corso del film, per mostrarci l’oggettività in quanto tale, l’inconoscibile dell’uomo. La soggettività umana, in quanto singolarità, non può essere oggettiva, sembra dirci Von Triar, e spesso è fallace (basta vedere i calcoli errati degli scienziati e del marito di Claire).

Dopo il preludio, si entra allora nella soggettività umana di Justine, o meglio, delle persone che circondano Justine. Dico ciò, perchè ho la sensazione che, in realtà, Justine sia ancora un appendice di quell’oggettività emersa nel preludio. Lei sembra accorgersi che “c’è qualcosa d’altro” oltre alla singolarità della vita umana, ma ciò la rende “malinconica”. Perchè?

A questo punto, tocchiamo un tema importante: il rapporto fra Justine e Melancholia. Il primo incontro di Justine con il cielo è subito prima dei festeggiamenti, ma ciò che vede non è ancora Melancholia e ciò la rende triste. Melancholia non arriva per tutto l’arco della serata e nei giorni successivi: Justine l’attende con malinconia. La lontanaza da Melancholia, la rende triste; la sua vicinanza la rende appagata (la scena erotica di lei nuda vicino al fiume, che si accarezza il seno mentre guarda Melancholia è emblematica). Justine è Melancholia o, come minimo, si completano a vicenda. Non è un caso che la sorella Claire si situi totalmente all’opposto: sta bene quando il pianeta non si vede e male quando c’è. E’ questo il tema della seconda parte del film. L’angosciosa attesa di vedere Melancholia contro la Terra. Claire non lo accetta, mentre Justine sì.

L’ultima scena esemplifica la situazione. In attesa della catastrofe ci sono tre atteggiamenti: il figlio di Claire sa cosa succederà, ma lo accoglie con l’ingenuità di un bambino di nove anni; Claire si dispera letteralmente, perchè vede andare in fumo la sua soggettività e quella del figlio (il marito nel frattempo si è suicidato); Justine, nonostante sia terrorizzata anche lei (d’altronde è un essere umano), si rende conto dell’oggettività della situazione e vede l’evento al di là del contingente. D’altronde, come dice Justine, “cosa potevamo aspettarci?”.

Piccola nota di cronaca: Kristen Dunst ha vinto, meritatamente, il premio come Migliore attrice al Festival di Cannes 2011.

Mattia Giannone