Alex De La Iglesia: Ballata Dell’Odio E Dell’Amore
ALEX DE LA IGLESIA
Ballata Dell’Odio E Dell’Amore
(Spa 2010, 107 min., col., horror? drammatico?)
Non mi convince chi parla di importanti e profondi messaggi dietro a Ballata Dell’Odio E Dell’Amore. Mistura di generi? Tragedia sopra le righe? Coraggioso? Postmoderno? Paroloni sprecati per un film-baracconata senza mezzi termini, trash-pulp di una ridicolaggine inaudita, un campionario amorfo di trovate di cattivo gusto con qualche spruzzata di citazioni cinefilo-artistiche che rendono il tutto ancora più grottesco.
Quel che più mi irrita di questa pellicola non è solo l’evidente eccesso portato a trionfo, e nemmeno le molteplici trovatine psico-oniriche che costellano la sua progressione ubriaca, ma la sua aspirazione a comunicare un disprezzo contro i regimi totalitari (l’omicidio, lo stupro, la morte) per mezzo della violenza più bieca, folle e fine a sè stessa che si possa immaginare. La discesa all’inferno dei protagonisti, due clown innamorati di un’acrobata nell’epoca del regime franchista, è tratteggiata da tinte che sarebbe troppo diplomatico definire “forti”. De La Iglesia vorrebbe colpire, farci male e, piegati in due, costringerci ad ammettere le sue tesi con stessi metodi un pò fascistelli. Vorrebbe mettere paura al sistema. Ma vogliamo scherzare? Ben lontano dall’essere forte e coraggioso, il film ci ammannisce infatti con piattezza narrativa tradizionale (salvo piccole libertà insulse di colore), dando priorità alla carne maciullata dal machete (Tarantino in confronto a costui è un raffinatissimo Autore) con il difetto aggiunto di non scavare nè in direzione psicologica, nè in direzione politica, nè in direzione sociologica. Quel che i protagonisti fanno qui è semplicemente massacrarsi in un gioco perverso e pruriginoso. Mai “apre”, mai allarga, o va a fondo per vedere collegamenti più vasti tra un’ordine e un’altro, preferisce fare rumore e debordare e distruggere ancora e ancora; e nemmeno la dualità pagliaccio triste e pagliaccio allegro ci incanta, tanto è scontata.
Non fraintendiamo: l’impianto estetico è fenomenale, tutto è studiato a dovere, fotografia patinatissima, ogni cosa vorrebbe essere fantasiosa e ricca di dettaglio. Ma poi? Al resto cosa rimane? Nelle prime immagini sembra di vedere un 300 (film che avrebbe sbancato il botteghino ai tempi di Mussolini) ambientato durante la guerra civile spagnola. E non parlatemi di ironia e humor nero, che non ci credo. Un solo fotogramma del Labirinto Del Fauno (il sempre apprezzato Guillermo Del Toro) ha più forza eversiva ed espressiva della bambocciata da fumetti in questione. Lì c’era la guerra e il sacrificio, l’orrore e la morte, ma anche la fantasia, il sogno, l’immaginazione, il parallelo tra i mostri dei bambini e quelli degli adulti (questi, ufficiali spietati franchisti, mostri veri).
Tra anarchia e vitalismo, l’abisso è incommensurabile. E adesso mi rivedo C’Era Una Volta In Anatolia per levarmi dalla testa stò film.