Bruce Conner: Crossroads

BRUCE CONNER

CROSSROADS

(Usa 1976, 36 min., B/N)
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Tutta la violenza, la potenza e la devastazione dell’uomo sono mostrate a ripetizione per trentasei minuti nel prezioso lavoro di Bruce Conner. Dall’astrattismo di una superficiale prima visione, Crossroads è fonte, invece, un’analisi della condizione umana.

Undici mesi dopo Nagasaki e Hiroshima, il 24 luglio 1946, gli Stati Uniti conducono un’esercitazione atomica nel pacifico presso l’atollo Bikini. L’operazione crossroads fu ripresa in contemporanea da numerose cineprese poste qua e là sulle navi, sugli aerei e sulla spiaggia. Tutte ripresero, dunque, il medesimo soggetto: l’esplosione e il successivo fungo atomico. Nel 1976 Conner creò un collage con questi molteplici punti di vista, ipnotizzando lo spettatore. Se la prima parte mostra le riprese per intero accompagnate dal suono in presa diretta, la seconda è formata dalla ripetizione di frammenti accompagnati dalla musica di Terry Riley.

L’opera di Bruce Conner è, innanzitutto, una riflessione estetica sulla violenza. Le immagini mostrate sono maestose e affascinanti. Le varie forme che succedono all’esplosione sono una danza perfetta, armoniosa e coinvolgente se prese a sé stanti e in quanto tali. Difficile, nonostante tutto, farne astrazione. L’impossibilità nel non associare le sequenze a ciò che successe alla fine della seconda guerra mondiale, risulta essere uno sforzo immane per lo spettatore consapevole. Astrarre l’immagine dal suo contesto e apprezzarne la bellezza è possibile soltanto per pochi secondi, per poi rituffarsi inevitabilmente nel suo profondo. Sostenere la bellezza di alcune immagini stride con il contesto morale, sociale e politico. Innumerevoli le domande, poche le risposte: qui risiede l’importanza dell’estetica della violenza e di Crossroads.

L’opera di Bruce Conner, con il passare dei minuti, si trasforma in terapia, in cine-terapia. Il ripetersi ritmico dell’esplosione, mai ossessivo, trasporta lo spettatore in uno stato d’ipnosi. La violenza non risiede nella struttura filmica, ma nel significato di ciò che vediamo. La musica, il montaggio, il ritmo non sono violenti quanto il contenuto. Il costrutto filmico appaga l’occhio umano e prevale sulle vere conseguenze della bomba atomica, anche se esse sono rammentate a ogni esplosione. La violenza diventa affascinante, perché ogni volta ci si allontana dal suo elemento violento per poi ricascarci dentro risvegliando la nostra coscienza. Questo entrare e uscire dalla portata sociale della bomba, per entrare e uscire dalla dimensione estetica, può essere terapeutico se si fa affidamento alla nota convinzione che per digerire uno shock bisogna riviverlo. Perpetuando per trentasei minuti l’esplosione, si è costretti rimasticare il boccone amaro e purgarsi definitivamente da questo evento.

Crossroads non è solo “estetica e terapia”, ma anche riflessione storica e umana. L’aspetto terapeutico è strettamente legato alla ritualità antropologica, perché il ripetersi all’infinito di un evento permette di trovare dei punti saldi all’interno della propria vita. Dopo le prime esplosioni che colpiscono lo spettatore, la “sorpresa” di queste si trasforma in “attesa” delle successive; la stessa attesa delle festività annuali o delle abitudini quotidiane. Da qui, ossia dal particolare del ciclo delle bombe, è possibile riflettere sull’eterno ritorno dell’evento in una condizione storica non lineare ma circolare. Infatti, al di là della ripetizione del medesimo fatto, Crossroads invita a riflettere (siamo nel 1976) sulla possibilità di un ripetersi del medesimo gesto in periodi differenti e all’enorme portata che esso avrebbe sull’intera umanità.

Mattia Giannone