Mostra del Cinema di Venezia: 5 Settembre


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CONCORSO – Kore-eda Hirokazu: Sandome No Satsujin/The Third Murder (Giappone)

Il prestigioso avvocato Shigemori assume la difesa di un uomo sospettato di rapina e omicidio, Misumi, il quale ha scontato una pena in carcere per un altro omicidio commesso trent’anni prima. Le chances che Shigemori vinca la causa sembrano scarse: il suo cliente ha spontaneamente ammesso la propria colpa, nonostante rischi la pena di morte nel caso in cui venga condannato. (dal sito della Biennale di Venezia)

Eravamo curiosi di vedere cosa sarebbe uscito dal regista giapponese che ha raccontato le dinamiche familiari di Father & Son e Ritratto di Famiglia con Tempesta alle prese qui con un legal thriller. In realtà, The Third Murder non si allontana dai modi di raccontare e dai temi cari a Kore-eda: nonostante ci sia di mezzo un omicidio, i temi del conflitto morale e dell’incomunicabilità rappresentano ancora il perno del suo cinema umanista. Kore-eda sfrutta questo genere particolare per sondare il rapporto tra verità e giustizia, tra uomo e legge; mette in scena un processo, nel quale viene sì emesso un verdetto, ma nel quale la verità non viene rivelata. Se il primo tema è dunque quello della pena di morte in Giappone (il “Terzo Omicidio” è di fatto quello perpetrato dallo Stato), il secondo e forse più interessante è quello del conflitto generazionale (non nuovo nell’opus del cineasta), che stavolta si viene a creare tra un figlio e un padre in una differente idea di giustizia. In un film forse eccessivamente parlato e prolisso, in cui (ragion forza) è la sceneggiatura a dettare il ritmo, la mano delicata del regista esce fuori in brevi momenti intensissimi che valgono da soli la visione.

 


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CONCORSO – Darren Aronofsky: Mother! (USA)

La relazione di una coppia viene messa a dura prova quando alcuni inattesi ospiti si presentano a casa loro, gettando nello scompiglio la loro tranquilla esistenza. (dal sito della Biennale di Venezia)

“Una mattina mi sono svegliato da questo brodo primordiale di angoscia e impotenza e ho visto questo film sgorgare come da un sogno delirante” scrive Aronofsky a proposito della sua ultima pazzia, brutalmente massacrata dalla critica qui alla Mostra del Cinema. Sempre secondo l’autore, le radici di Mother! prendono origine dalle prime pagine dei titoli di giornale, dalle notifiche del cellulare, e in generale dalle fonti mediatiche: Tutto in Mother! restituisce l’idea di un film scritto di getto, di un film viscerale, impulsivo e definitivo; si veda solo il punto esclamativo del titolo. Questo aspetto si coglie immediatamente dal ritmo implacabile del film, dalla scansione subitanea degli eventi, e in generale dall’urgenza con cui le immagini si susseguono sullo schermo, quasi esplodendo a raffica. Veniamo quindi al sodo: Mother! è il film più radicale di un autore che impone con forza il suo punto di vista narcisistico e pessimista sul mondo, un film-metafora dai pesantissimi connotati biblici, quasi sbraitati ai quattro venti; è un film che non funziona nè come film di genere horror (la casa maledetta), nè come riflessione filosofica (la parabola della Creazione), nè tantomeno come allegoria della società moderna (l’invasione dell’intimità domestica, della privacy ecc.). E’, insomma, un film che può provocare fastidio, che provoca risate involontarie, afflitto da interpretazioni pessime, e gonfio di dialoghi kitsch e imbarazzanti; sembra il film di un cretino che vuol sembrare un genio. Eppure, per noi Mother! funziona come esperienza cinematografica. Ad oggi Mother! è il film più visivamente stupefacente della mostra, un film che riesce a levare il respiro allo spettatore grazie alle sua componenti di puro cinema (cioè una fotografia e un montaggio da pelle d’oca) a discapito della scrittura (questa sì, pessima). Aronofsky gira il suo film in quasi totale semi-soggettiva (quella del protagonista interpretata della Lawrence), crea e demolisce lo spazio filmico come l’autore di un incubo: ecco, vedendo Mother! si ha davvero la sensazione di assistere ad un incubo di 2 ore. A parte le polemiche, a noi piace prendere questo film nel modo in cui ci consiglia di prenderlo lo stesso Aronofsky, che infatti dice: “Nel complesso, si tratta di una ricetta che non sarò mai in grado di replicare, ma so che questo è un drink che va servito e gustato tutto d’un fiato nel bicchiere giusto. Buttatelo giù! Salute!”

 


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SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA – Bertrand Mandico: Les Garcons Sauvages (Francia)

All’inizio del XX secolo, sull’isola de La Réunion, cinque adolescenti di buona famiglia, appassionati di scienze occulte, commettono un feroce crimine. Un capitano olandese se ne prende carico e li costringe ad una crociera di rieducazione a bordo di un vascello fatiscente e spettrale. Sfiniti dai metodi del capitano, i cinque ragazzi pianificano l’ammutinamento. La loro meta è un’isola sovrannaturale dalla vegetazione lussureggiante che cela un segreto sconvolgente. (dal sito della Settimana Internazionale della Critica)

Saremo costretti a recuperare Boro In The Box (del 2011) perchè questa pellicola di Bertrand Mandico ci ha lasciato a bocca spalancata. Quella di Mandico è un’opera stranissima, che non sapremmo definire in altro modo che come un’avventura erotica surrealista. Les Garcon Sauvages è un film dall’immaginazione sfrenata, che brilla di meraviglia, un collage di generi diversi, il tutto immerso in una estetica da sogno che ricorda i trip cinefili di Guy Maddin e le immersioni oniriche di L‘Atalante di Vigo. Un film di confine (e sui “confini”) che non riesco letteralmente a sintetizzare a parole. Da recuperare per una seconda visione e approfondire. La visione più sorprendente della Mostra (finalmente!)

Stefano