Mostra del Cinema di Venezia: 4 Settembre


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FUORI CONCORSO – James Toback: The Private Life of a Modern Woman (USA)

Vera Lockman, un’attrice di successo che vive da sola in un favoloso loft newyorkese, si agita nel suo letto durante un incubo nel quale lotta con Sal, il suo spacciatore ed ex ragazzo, prima di sparargli e ucciderlo. Svegliatasi di soprassalto, scrive nel suo diario che l’omicidio dell’incubo è effettivamente avvenuto il giorno prima e che Sal giace morto in un baule in soggiorno. Leon, amante di Vera, arriva e viene congedato, definitivamente. Franklin, un amico cineasta, passa a farle visita, preoccupato. Mette Vera sotto torchio, lasciandola confusa e un po’ spaventata. Vera trasporta con l’auto il baule in una zona isolata e lo fa rotolare dentro a un lago. Torna nel suo loft, e trasalisce alla vista di un detective della narcotici, McCutcheon, venuto a farle delle domande su Sal. Vera pensa che Mc Cutcheon abbia creduto alla sua falsa storia. Vera serve la cena al suo amato e malandato nonno, Arthur, e a sua madre, Elaine. Successivamente, Carl Icahn, ex compagno di classe di Arthur, passa a trovarli. Vera e Carl sono emotivamente in sintonia. Il giorno dopo Vera, per la prima volta calma, scrive. Il suo umore è turbato da un crescendo di sirene della polizia. Si precipita alla finestra e vede McCutcheon. I loro sguardi si incrociano. Le manette la attendono. (dal sito della Biennale di Venezia)

Tutto ciò che succede è spiegato nella (lunga) descrizione qui sopra. Dura appena 70 minuti The Private Life of a Modern Woman, 70 minuti ad alta densità di spunti e riflessioni. Tutt’altro che un lungometraggio, la pellicola appartiene più alla categoria dello studio di carattere, del flusso di coscienza in immagini, addirittura del film sperimentale; di certo un film labirintico e intricatissimo. Per il largo utilizzo che Toback fa degli split screen, è sembrato al sottoscritto una specie di Hitchcock all’ennesima potenza, un gioco di specchi, di certo un finissimo (ma inafferrabile, davvero ostico) gioco cinematografico. Chi legge avrà certamente capito che non ho la minima idea di dove iniziare per spiegare un film del genere. Tutto certamente ruota attorno a Sienna Miller, la Modern Woman del titolo, alle sue confessioni, e alle confessioni del regista stesso all’interno del film. E’ come se esistesse una compenetrazione tra il dentro-film (la vicenda “poliziesca”) e il fuori-film (la confessione tra l’attrice e il regista), nel senso che non si capisce dove inizia una e finisce l’altra. Da ciò deduco che si tratta di un film sulla scrittura e sul processo creativo. Come se non bastasse, a ciò si aggiunge anche una sequenza, peraltro molto toccante, in cui la donna si trova a cena con la madre e il nonno malato di Alzheimer, che non riesce a riconoscere la figlia e la nipote. Tale sequenza è completamente staccata dal resto del film.

 


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CONCORSO – Martin McDonagh: Three Billboards Outside Ebbing, Missouri (USA)

Dopo mesi trascorsi senza trovare il colpevole dell’omicidio della figlia, Mildred Hayes compie un gesto audace. Lungo la strada che porta in città, noleggia tre cartelloni pubblicitari sui quali piazza un controverso messaggio diretto allo stimato capo della polizia locale William Willoughby. Quando nel caso viene coinvolto anche il vice Dixon, uomo immaturo dal temperamento violento e aggressivo, lo scontro tra Mildred e le forze di polizia di Ebbing diventa sempre più duro. (dal sito della Biennale di Venezia)

Il film più apprezzato della Mostra ad oggi. Non siamo stupiti: Three Billboards… è un film praticamente inattaccabile sotto ogni aspetto. La regia di McDonagh (In Bruges, 7 Psicopatici) riesce a rendere credibile una vicenda tragicomica e a tratti surreale; La sceneggiatura, sempre di McDonagh, brilla di luce propria; le interpretazioni di Frances McDormand e Sam Rockwel sembrano già prenotate per l’Oscar. La presenza di suggestivi piani sequenza e di una fotografia straordinaria sono ulteriori valori aggiunti che cesellano il capolavoro. Non solo dopo, ma durante la proiezione il pubblico stampa era in delirio, con applausi a scena aperta. Mi sforzo e non riesco proprio a dire niente in contrario a questo film di grande cuore e ottima fattura. Diciamo che forse il punto debole è che il film non ha nessuna imperfezione, nessuna peculiarità, nessuno squilibrio degni di vero interesse su cui potersi soffermare. Uno splendido racconto morale, ma senza moralismi e ricco di umorismo.

 


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ORIZZONTI – Tzahi Grad: The Cousin (Israele)

Un tuttofare arabo-musulmano, sebbene spinto da buone intenzioni, sconvolge la vita quotidiana degli abitanti di un paesino israeliano. Poco dopo il suo arrivo, una giovane viene assalita e la comunità lo accusa. A credergli è solo il suo datore di lavoro, ma persino questa fedeltà viene messa alla prova quando si svelano altri segreti. (dal sito della Biennale di Venezia)

Una commedia che si prende gioco del conflitto arabo-israeliano. In ballo c’è una questione delicatissima, eppure il regista Tzahi Grad riesce a conferire una leggerezza alle molte questioni (il sospetto, la paranoia, la paura dell’altro). Il film è più che godibile, l’idea e la storia sono molto carine ma purtroppo lo stile, ai limiti della fiction, finisce per appiattire tutto.

Stefano