Miguel Gomes: Aquele querido mês de agosto

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MIGUEL GOMES

AQUELE QUERIDO MES DE AGOSTO

 
(Por. 2008, col., 147 min., drammatico, documentario)

 

La libertà è figlia dell’accidente. Miguel Gomes, prima di Tabu e dopo A cara que mereces, realizza un film sull’atto creativo registico, confermando ancora una volta le sue capacità alchemiche. Un po’ documentario, un po’ finzione, Aquele querido mês de agosto mantiene intatta la fama del regista portoghese come poeta del cinema.

In Aquele querido mês de agosto, si accennava, la libertà è figlia dell’accidente. La storia doveva essere un melodramma, con musica popolare, ambientato in campagna durante il mese d’agosto. Per un problema di budget, il film di Gomes non si può più fare. Rinunciare? Spostare in là le riprese? No. Per Gomes quest’avvenimento, quest’accidente, è stimolo creativo. Decide di recarsi lo stesso in Arganil con una troupe ridotta e inizia a girare. Riprende la vita, i riti, le abitudini degli abitanti di questa regione: pompieri, feste di paese, canzoni popolari, la gente del posto, balli e processioni. Il materiale raccolto è molto. Nel periodo invernale adatta la precedente sceneggiatura al materiale raccolto. L’estate seguente girerà il suo melodramma.

L’adattamento di Gomes non è una semplice riscrittura della sceneggiatura, ma un’intuitiva messa in evidenza delle difficoltà di produzione. Questi problemi sono il motore poetico del film. L’articolo di Cyril Neyrat sui Cahiers du Cinéma n°646 (pp. 36-38) è esplicativo (T.d.a): “L’intuizione decisiva fu di non cercare di nascondere i problemi di produzione inserendo gli elementi delle prime riprese nella continuità del secondo, ma di trovare nell’accidente delle doppie riprese il principio poetico del film”.

La prima estate è stata, dunque, occasione per riprendere gli usi e i costumi dell’Arganil. Lo sguardo del regista è un’occhiata che

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ricorda il nostrano Vittorio De Seta. Non si fa riferimento solo per Pasqua in Sicilia (visibile qui) facilmente accostabile alle processioni incontrate da Gomes e dalla sua troupe in Arganil, ma anche per le sue scelte estetiche. Nonostante qualche commento fuori campo, lontano dalla poetica di De Seta e dei suoi cortometraggi documentaristici degli anni cinquanta, il portoghese gli si avvicina per la scelta d’inquadrature esplicative, per la musica e per i rumori ritmanti. Il regista di Tabu e A cara que mereces è poeta quanto il documentarista di Lu tempu di li pisci spata (qui), Isola di fuoco (qui), Surfarara (qui), Contadini del mare (qui), Parabola d’oro (qui), Pescherecci (qui) e Pastori di Orgosolo (qui). Vittorio De Seta, come Gomes, mostra il ritmo della vita, della quotidianità, delle abitudini, nonché gli usi e costumi della popolazione. Il Portogallo contemporaneo è paradossalmente vicino, sia spazialmente sia temporalmente, all’Italia contadina mostrata dai cortometraggi di De Seta. Sarà per il retaggio culturale profondamente cattolico, sarà per l’ancoraggio alla terra (o mare), sarà per il ritmo della vita scandito dalle feste e dalle celebrazioni, ma a distanza di sessant’anni e di numerosi chilometri è possibile ritrovare in queste due nazioni un punto in comune: la semplicità della quotidianità. Nei pescatori di De Seta, nei pompieri di Gomes, nei pastori sardi, nei balli portoghesi, la semplicità non è sinonimo d’ignoranza, ma di cultura arcana e terrena (si vedranno più avanti i legami con il filosofo Ludwig Klages).

 La realtà portoghese ripresa dalla troupe di Gomes è il combustile per il motore filmico, mai nascosto nel cofano della narrazione e del montaggio. Gli ingranaggi sono, pertanto, ben visibili (incredibile il dialogo finale sul suono fra il regista e il responsabile audio). Essi non stridono con il resto. Tolto il velo di Maya, si può intravedere il funzionamento della macchina filmica, nella quale si concepisce e si realizza il risultato filmico. È come se si potesse vedere l’atto creativo nel suo farsi. In alcune sequenze si vedono, infatti, i membri della troupe, Gomes che discute con il produttore e anche un casting improvvisato.

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Come sostiene Cyril Neyrat: “È esattamente il contrario di un’ironia facile: non c’è una mise en abîme delle riprese, ma al contrario integrazione di queste al piano d’immanenza della narrazione, al gioioso bordello della vita, un mese d’agosto in Arganil”. Non si è di fronte, insomma, a quello che succede in Adaptation (o Ladri di orchidee che dir si voglia) di Spike Jonze, in cui lo sceneggiatore Charlie Kaufmann dopo un’impasse creativa reale decide di scrivere una storia su se stesso e della sua difficoltà creativa. In Aquele querido mês de agosto non c’è il gioco al rimando fra i due livelli, fittizio e reale, ma c’è un unico livello a metà strada fra i due. Per chiarire, non c’è un movimento verticale fra i due, ma uno spostamento orizzontale. La pellicola di Gomes si situa nell’interstizio fra il documentario e la finzione; uno spazio talmente piccolo da lasciare una parte del film nel reale e l’altra parte nel melodramma. Per questa ragione Aquele querido mês de agosto non è neanche un amalgama di frammenti incollati brutalmente in sede di montaggio, ma un fluire visivamente poetico che scorre dalla narrazione al reale e dal documentario al melodramma per mezzo dal farsi creativo.

Questo continuo ritirarsi e oltrepassare la soglia del melodramma rende, dunque, la vicenda alquanto particolare. Gli aspetti

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documentaristici si convertono man mano in finzione tramite gli aspetti extradiegetici, lo si è visto, e quelli musicali diegetici. Utilizzati sia in A cara que mereces, le canzoni da commedia musicale, e in Tabu, la Mario’s Band, essi svolgono un doppio ruolo. Il primo è quello ironico: Gomes, in tutte le sue pellicole, promuove un’ironia sottile e leggera che emerge dalla semplicità e dall’assurdità dell’azione. Francisco, infatti, in A cara que mereces esprime il suo stato d’animo tramite il canto rendendosi ancora più infantile e la Mario’s Band in Tabu diventa una parentesi estemporanea alla narrazione principale, pur essendo ben ancorata all’ambiente africano. Il secondo è quello, invece, da “staffetta invisibile” (mentre la troupe funge da “staffetta visibile”) per il passaggio al melodramma. L’aspetto documentaristico si converte, per Cyril Neyrat, in “melodramma familiare e musicale – la storia d’amore, contrastata da un padre possessivo, di un cugino e di una cugina, membri dello stesso gruppo musicale. Fabio, giocatore di hockey, diventa il cugino Helder, chitarrista virtuoso; il pompiere Sonia diventa la cugina Tania, cantante del gruppo Estrales do Alva; il produttore inquieto diventa tastierista del gruppo e padre di Tania”. Neyrat giustamente fa notare: “Il melodramma è nella testa e la vita delle persone. È anche nelle canzoni che fanno ballare gli abitanti dei villaggi dell’Arganil nel mese di agosto. Esse sono catturate dalla stessa metamorfosi poetica. Le prime che si sentono, cantate da differenti gruppi, sedimentano dei motivi, degli umori, delle storie d’amore, di nostalgia e di adulterio. Le successive, o le stesse che ritornano più tardi, cantate dal gruppo Estrellas de Alva quando il melodramma prende corpo, diventano un commento alla storia, poi la sua stessa materia”. Tramite tale metamorfosi Gomes riesce, ad esempio, a coniugare perfettamente senza frizione una “vera” processione per un santo patrono in cui si vedono il produttore e il pompiere che recitano il ruolo di padre e figlia. Non c’è mai, come nelle altre sue pellicole, una prima parte realizzata in un modo e una seconda mostrata in un altro, ma il tutto è qui amalgamato in un flusso continuo. Pertanto, se nella prima parte c’è più documentario che finzione nella seconda c’è più melodramma che realtà.

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Il dramma di questi due ragazzini è già insito nel materiale documentario e il reale è insito nella vita quotidiana delle due famiglie protagoniste. Cyril Neyrat riprende la sua analisi sostenendo: “Per fare in modo che questa metamorfosi, queste molteplici conversioni abbiano luogo, per fare in modo che queste avvengano con naturalità, era necessario che i materiali catturati durante le prime riprese contenessero in potenza il melodramma delle seconde. Ciò deriva dallo sguardo di Gomes sulla regione – non si accontenta di registrare dei fatti pittoreschi, si lascia guidare da un profondo desiderio di finzione, dai capricci del suo immaginario – ossia la famosa disposizione portoghese alle storie”.

Il melodramma è all’origine dei racconti. Dove trovarlo dunque se non nella realtà delle origini? Gomes ricerca il melodramma e le sue origini popolari all’interno di ciò che Klages, filosofo tedesco dimenticato dai più, chiama la Seele, ossia l’anima. La Seele per il filosofo si contrappone allo spirito: il Geist. La prima è ciò che viene anteriormente alla coscienza: i riti, i miti, la natura. Il secondo è apparso quando si è costruito l’Io e lo si è usato per allontanarsi dall’origine. Il melodramma, allora, rientrerebbe nella Seele. Sostiene l’autore della critica sui Cahiers: “È il tour de force di Aquele querido mês de agosto: tornare all’origine popolare del melodramma. Il genere più eccessivo, il più codificato, ha le sue radici nella realtà popolare la più banale e condivisa. La sceneggiatura archetipa verso la quale s’incammina il film non è uscita solamente dalla testa di un cineasta che conosce i classici, ma da un uomo che conosce bene la regione, i suoi costumi, i suoi abitanti, le loro abitudini e le loro distanze, che sceglie di gettarsi in questa materia, in questo groviglio d’immagini, per prelevarne gli ingredienti di un melodramma. L’ironia e la fantasia del film risiedono nel farci credere, usando tutta la gamma degli artifici del montaggio, a una metamorfosi spontanea”.

È in questo senso allora che deve essere inteso l’ultimo piano del melodramma, quando Sonia/Tania piange e ride di fronte alla cinepresa. È il personaggio che piange o l’attrice che ride? Tutte e due.

 

Mattia Giannone