Alessandro Comodin: L’estate di Giacomo
L’estate di Giacomo
(It, Fr, Bel 2011, col., 75 min., drammatico)
La libertà non è costrizione, ma sincerità, spontaneità e naturalezza. Il tema non è nuovo, ma è come viene esposto che fa la differenza. A livello più narrativo, quasi documentaristico (come lo era il lavoro di diploma Jagdfieber, sul tema della caccia), il soggetto emerge in maniera poetico-naturale. L’handicap uditivo, nonchè logopedico, non limita l’adolescenza del protagonista. Egli compie gli stessi gesti che qualsiasi ragazzo farebbe in quegli anni: durante la stagione estiva si “cazzeggia”, si va al fiume (Tagliamento in questo caso) a prender il sole e a fare un bagno, si va in bici, s’ispeziona la campagna, si suona e si può fare il filo a una ragazza, magari una certa Stefania qui coprotagonista. Le battute sono spontanee, sincere, naturali come lo sono gli atteggiamenti dei due ragazzi. I tuffi al fiume, gli scherzi che degenerano in bisticci, ma anche l’affetto sincero e non ipocrita che Stefania prova nei confronti di Giacomo (il rimando d’obbligo è alla pellicola Intouchables – o Quasi amici che dir si voglia – e al momento in cui il personaggio principale chiede semplicemente di essere trattato normalmente com’è, senza quell’ipocrisia che esalta il diverso o all’opposto che tende a fingere una normalità che purtroppo non c’è).
A livello più tecnico e cinematografico, il tutto è espresso da lunghi piani sequenza, da inquadrature di spalle dei protagonisti, come se il cineasta friulano volesse lasciar viaggiare il loro istinto, la loro naturalezza: segue i loro movimenti con distanza perchè è di spalle, quando loro non ti vedono, che si coglie l’essenziale. Rari sono i primi piani, perchè troppo pudica è la macchina da presa come lo sono i due protagonisti, imbarazzati da questo sguardo sincero. Impensabili i campi e contro-campi, al più si deve muovere la macchina da presa da un campo all’altro, sempre in spalla e che si muovo al ritmo dei passi di Giacomo e Stefania.
Una fotografia pura, spesso in controluce, che lascia emergere i difetti della vista umana e dell’ottica della macchina, perchè puri sono quegli attimi fra i due. memorabili e sincere molte sequenze: dalla prima già ricordata, al momento della ricerca del Tagliamento e ai giochi vicino al fiume. I momenti più squisiti, sia a livello narrativo sia estetico, si raggiungono alla sera, durante la festa del paese, quando Comodin si piazza con la cinepresa sulla giostra in movimento insieme ai protagonisti o il piano sequenza durante il ballo.
Passato inosservato in patria, ma Premiato a Locarno nel 2011 ed elogiato in Francia, in Belgio e dai mitici Cahiers, l’opera di Comodin è quasi perfetta. L’unica nota negativa, proprio per essere pignoli, risiede nel finale: la comparsa di Barbara (Barbara Colombo) – anche lei con problemi uditivi – e della sua lettera aperta, chiude paradossalmente qualcosa che avrebbe dovuto rimanere, appunto, aperto, senza spiegazione. Ma forse è meglio così, se la perfezione è un limite alla libertà.