Aguirre, furore di Dio
Aguirre, furore di Dio
(Aguirre, der Zorn Gottes, Rft./Perù/Messico 1972, 100 min., col.)
Nella seconda metà del ‘500, una spedizione di conquistadores spagnoli parte per il Sud America. Muovendosi nell’intricata foresta amazzonica, i soldati sono alla ricerca della leggendaria città di El Dorado.
Dopo aver preso il comando delle operazioni, Lope de Aguirre (Klaus Kinski), accecato dai suoi sogni e dai suoi desideri di trovare la mitica città, porterà prima verso la disfatta i suoi uomini e poi verso la loro morte lungo il Rio delle Amazzoni.
La testardaggine umana nel raggiungere ad ogni costo gli obiettivi preposti, caratterizza la cinematografia del regista bavarese Werner Herzog che, non a caso, fa dire a Aguirre-Kinski: “Se io, Aguirre, voglio che gli uccelli cadano fulminati, gli uccelli devono cadere stecchiti dagli alberi. Sono il furore di Dio. La terra che io calpesto mi vede e trema”. Qui, più che in altre pellicole, emerge in maniera esemplare questa tematica, anche grazie all’interpretazione memorabile di Klaus Kinski (anche se, a mio avviso, non esiste molto margine fra questa performance e il suo carattere personale). Herzog, inoltre, riesce sempre a mostrare in modo perfetto i limiti dell’uomo di fronte a ciò che lo circonda, giocando sia sulla ragione che sul sentimento dei personaggi attraverso, in questa occasione, i suoni della natura e gli sguardi di Kinski.
E’ con questa pellicola che inizia il rapporto di amore-odio, durato per cinque film, fra Herzog e l’interprete originario di Sopot. Si può rendere merito al regista, infatti, di essere riuscito a gestire un attore alquanto lunatico e irascibile come lo era Klaus Kinski, il quale, incarnando qui con troppo realismo il personaggio di Aguirre, non si era lasciato sfuggire, fra l’altro, l’occasione di procurare un trauma cranico ad un altro attore.
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