Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado: Il sale della terra


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WIM WENDERS E JULIANO RIBEIRO SALGADO

 

IL SALE DELLA TERRA

 
(Br., It., Fr. 2014, 110 min., col e b/n, documentario)

Sebastião Salgado è uno dei fotografi più importanti e più conosciuti a cavallo di questi due secoli. I suoi lavori hanno fatto il giro del mondo e hanno spesso testimoniato gli eventi storici come pochi mezzi di comunicazione sono riusciti a farlo. Era evidente che, prima o poi, un documentario sui suoi scatti prendesse forma. Il rischio, però, con un artista e fotogiornalista del calibro di Salgado era di realizzare una sviolinata agiografica che non portasse da nessuna parte e che non lasciasse nulla nell’animo dello spettatore. Wim Wenders, con l’aiuto del figlio di Salgado, rende omaggio al fotografo in maniera appassionata e sincera, senza quella patina temuta.

Il sale della terra inizia immergendo lo spettatore direttamente nel lavoro dell’artista brasiliano. Le fotografie prese nella miniera

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d’oro della Sierra Pelada vanno direttamente al succo della visione del mondo di Sebastião Salgado e mostrano efficacemente la natura dell’uomo, vista della stesso come crudele e implacabile. Il film, allora, non è solo un susseguirsi cronologico di cliché presi nei più svariati angoli del pianeta che ripercorrono la vita dell’artista, ma è anche una riflessione sulla natura umana e sul suo destino. I reportage mostrano sì i destini diversi delle varie popolazioni, ma permettono di arrivare a un’unica conclusione: nonostante le differenze esiste una sola razza umana. Certo non è una novità, ma il lavoro di Salgado permette di confermare questa tesi da un altro punto di vista, ossia quello artistico e fotogiornalistico. Gli occhi della fame in Etiopia, quelli che hanno visto e vissuto il genocidio del Ruanda o iugoslavo, quelli della povertà sudamericana, quelli dei pompieri in missione nel Kuwait per spegnere gli incendi dei pozzi petroliferi, quelli dei lavoratori manuali sparsi nel mondo e molti altri, sono gli stessi ed esprimono i medesimi sentimenti.

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L’approccio di Wenders non è fotografico. Non si tratta di un documentario sull’arte fotografica, ma un ripercorrere la vita di un artista che ha visto il mondo e la sua crudele complessità. Coloro i quali cercano nel Il sale della terra risposte estetiche sulle scelte stilistiche di Sebastião Salgado, sul perché lavori col bianco e il nero o sull’evidente lotta fra la luce e l’ombra, rimarranno certo delusi perché queste tematiche non sono affrontate. Non che Wenders le dimentichi, ma esse devono essere “viste” e non affrontate con le parole. Il racconto che risiede dietro ogni fotografia di Salgado è una narrazione sull’uomo e sulle sue peculiarità, sulla guerra, la violenza, la fame e così via. Wenders non fa parlare l’artista brasiliano di scelte stilistiche, non per una grossolana dimenticanza o per un disinteresse puerile, ma perché ritiene l’argomento estetico, un soggetto di “visione” e non di “spiegazione”. A testimonianza di quanto affermato, basti osservare le scelte stilistiche del documentario e quei continui passaggi dal colore al bianco e nero che vanno ben al di là dei lavori di Salgado: come i ritratti di quest’ultimo sono privi di colori, così anche i primi piani, ad esempio, sul fotografo di Wim Wenders studiano il bianco e il nero lavorato dalla luce dello studio nel quale discutono i due.

La svolta umana di Salgado è dietro l’angolo. Sconvolto da quanto visto in Africa, decide di andare oltre l’uomo

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e di dedicarsi alla natura: siamo nella seconda parte del documentario. L’approccio al mondo naturale avviene su due fronti e il film di Wim Wenders riesce ancora una volta a cogliere in maniera netta e precisa i sentimenti dell’artista brasiliano. Da un lato abbiamo il progetto di ricreare, con la sua associazione, una parte della foresta brasiliana vicina alla fattoria del padre ormai disseccata e, dall’altro, il progetto fotografico monumentale Genesis che parte da un’idea semplice e basilare: quasi la metà del pianeta è rimasta come all’origine, bisogna dunque fotografarla per farne testimonianza. La passione umana di Salgado, in questi due progetti, si dilata rispetto ai lavori sociali del passato per inglobare l’intera natura: per lui lo sguardo del gorilla, la zampa dell’iguana, il gioco di un elefante o i comportamenti umani sono legati da un unico filo. Non c’è più, allora, la razza umana, ma un’unica e sola razza della terra.

 

Mattia