Francesco Munzi: Anime Nere

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FRANCESCO MUNZI

Anime Nere

(Italia 2014, 103 min., col., drammatico)

Ci voleva Francesco Munzi, regista di Samir e Il Resto della Notte, a ricordarci cosa può essere il cinema italiano concepito e realizzato per il grande schermo. Con Anime Nere il regista romano classe 1969 conferma le sue qualità tanto di narratore quanto di cineasta.

Dopo aver parlato delle contrastanti reazioni avvenute durante la Mostra del Cinema, passiamo al film. Come avevamo detto un mese fa, secondo noi il grosso merito di Anime Nere è di aver definito, nel contesto della Mostra e non solo, uno standard di cinema italiano in grado di parlare di Italia senza cadere nei difetti tipici di gran parte dei film italiani. Difetti che sono molteplici e di varia natura ma accomunati da didascalismi, sottolineature e spersonalizzazioni che tengono poco conto dell’intelligenza dello spettatore allo scopo di raggiungere il pubblico più eterogeneo possibile. Anime Nere potrebbe (tralasciando gli onnipresenti problemi di distribuzione) raggiungere tutti senza il ricorso a questo genere di semplificazioni, in forza della propria qualità cinematografica. Intendiamoci: questo film è ottimo. La costruzione serratissima e strutturata come una discesa agli inferi (metaforicamente e, figurativamente, nella discesa in Calabria da Amsterdam passando per Milano – la splendida scena di trasporto dell’hashish) e la levigatezza della forma (una fotografia perfetta, una musica che spazia dal rumore elettronico alle canzoni calabresi) dimostrano in Munzi maturità e capacità di scelta. La perizia narrativa ha meriti di efficacia che dipendono in gran parte dal vigore dell’idea di base, del soggetto che impone una sua trama di calibro e uno sviluppo che va dipanandosi a scatti improvvisi, culminando in un finale che è tra i più belli visti durante il concorso veneziano. Ma in definitiva, il valore del film più che nel (fantastico) sviluppo narrativo consiste in un altro dato: nel rapporto che stabilisce con il contesto reale. Il modo migliore di porgere in cinema uno spaccato della realtà mafiosa (qui quello dell’Ndrangheta) resta quello del noir, e Anime Nere è, prima che un film di Mafia, prima che uno spaccato sociale, prima che una storia di legami familiari, un film noir. E laddove altri registi hanno affrontato il “genere mafioso” in modo spesso banale e generico, Munzi dedica un’attenzione puntigliosa ai particolari.

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Il difetto che non si può nascondere dell’opera è il ricorso a figure già conosciute e abbastanza ritrite, tutte più o meno ripescate dal cinema a sfondo mafioso. Vi sono 3 fratelli: uno che fa il “lavoro sporco”, uno che ricicla denaro, e un terzo che cerca in tutti i modi di venirne fuori. Ecco in questo, Gomorra (intendiamo il film, non la pur pregevole serie infinitamente inferiore e infinitamente banale rispetto all’opera di Garrone – ma sul rapporto tra serial televisivi e cinema ci torneremo presto su questo sito) era riuscito a riscrivere il genere facendo leva sui meccanismi della mafia piuttosto che sui singoli protagonisti. Nel contesto di cinema a sfondo mafioso, quindi, Anime Nere non apporta alcuna novità in termini contenutistici. Nel contesto più generale di cinema noir italiano invece Anime Nere rappresenta una vetta (se ne devono essere accolti all’estero, considerando che è stato presentato al Torino Film Festival in contemporanea), per il modo in cui coniuga il genere (comprendendo modalità, atmosfere, umori tipici del noir – e rinnovando il nostro interesse) alla rappresentazione sociologica del mondo arcaico calabrese (che ha come epicentro il paese di Africo); e per il modo in cui esso riesce a trasferire con nonchalance l’attenzione dal generale al particolare, dai rapporti del traffico internazionale ai rapporti di lotta tra famiglie dello stesso piccolo paese. Munzi riesce a modulare i ritmi del racconto giocando con le aspettative dello spettatore che, attendendo la vendetta mafiosa, e quindi aspettandosi il clichè, il già-visto, vede generarsi un’energia e una tensione che esplodono in un finale quasi catartico, ma capovolto (non aggiungo altro per non rovinare la sorpresa).

Si sbaglia, quindi, a definire Anime Nere come un tentativo poco riuscito e “già visto” (ritornello sentito spesso a Venezia) di cinema a sfondo mafioso. Anime Nere parla dell’impossibilità di sciogliere i vincoli familiari, e dell’impossibilità di nascondersi o scappare di fronte al male. L’unica soluzione è affrontarlo, ad ogni costo, anche al costo della tragedia; che è poi la cosa di cui è fatto questo film.

Stefano