Jeffrey C. Chandor: All is Lost – Tutto è Perduto
JEFFREY C. CHANDOR
All is Lost – Tutto è Perduto
(Usa 2013, 106 min., col., drammatico)
TRAMA. Durante una traversata in solitaria nell’Oceano Indiano, un uomo senza nome si risveglia con il suo yacht di 39 metri che imbarca acqua dopo una collisione con un container abbandonato in alto mare. (Cinematografo.it)
Il cinema può avere due strade: da una parte il cinema verità, dall’altra l’astrazione e l’allegoria. Sono entrambe valide, ma difficilmente coesistono. Il secondo film di J.C. Chandor riesce a farle coesistere, senza la minima pomposità intellettuale. Pur appartenendo alla categoria commerciale (così viene etichettata) del survival movie, siamo di fronte forse all’opera più profonda vista finora sugli schermi italiani quest’anno, una pellicola concreta e solida in cui l’allegoria si fa strumento di comprensione per l’oggi.
Il secondo lavoro del giovane J.C. Chandor si pone in netto contrasto con il precedente Margin Call. E’ facile: il primo era un film di parole ambientato negli affollati uffici di una banca, il secondo è invece un film di azioni ambientato in mezzo al nulla. Il trait d’union è rappresentato dal protagonista, un uomo sconvolto da forze fuori dal suo controllo; ed entrambi sono film in cui degli uomini fanno del loro meglio per scongiurare il disastro inevitabile. A un certo punto il protagonista, che non ha nome e di cui non sappiamo niente, si tira in alto con una corda fino in cima all’albero della sua barca e la mdp scivola lentamente dal primo piano dell’uomo fino all’orizzonte che rivela una massa di nubi in formazione. Questa fantastica immagine rappresenta pienamente, anche se in luce allegorica, quel che succede nel film precedente, adattato al mercato finanziario. Ciò che colpisce tanto nella messa in scena asciutta di Chandor quanto nell’interpretazione lucida, fisica e manuale di Redford è come la vicenda si riduca agli elementi essenziali senza la minima pretesa metaforica (per intenderci: la sensazione “ecco la metafora pronta al consumo” non si avverte mai). Questa capacità di astrazione del regista, pure all’interno delle tradizionali strutture spettacolari, e questa sua necessità di affrontare discorsi che sono in definitiva visioni dell’uomo in questo mondo e in questo tempo, fanno di Chandor uno dei registi americani da tener d’occhio.
Se ridotto alla sua trama, All is Lost non differisce da altri cento altri film incentrati sull’uomo contro la natura; infatti è come tutti quei film e diverso da ognuno di essi; sorprendentemente, è unico, pur rappresentando qualcosa di già visto; ci fa sembrare nuovo un argomento che sembrava conosciuto ed esplorato in ogni parte da lungo tempo. Questo perchè All is Lost è così epurato da ogni ridondanza, pedanteria o ripetizione, da collocarsi su un piano quasi ascetico: l’infinità del mare, l’assenza del dialogo (il film è, praticamente, muto), la genuinità dell’azione, convogliano al vuoto della meditazione. Il ritrovarsi perduto del protagonista nell’Oceano Indiano è un ritorno ad una natura che distrugge facili sicurezze e facili mitologie. All is Lost si distingue dagli altri survival movie per la sua estrema semplicità, per il suo ridursi a scheletro. Per tutto il film, Robert Redford, attore-monolite della mascolinità americana, non fa altro che cercare di rimanere a galla. Non c’è nessun pallone dipinto (Cast Away), nessuna tigre in computer grafica (Vita di Pi) e nessun George Clooney rassicurante (Gravity) a fargli compagnia. Non c’è nessun pseudo-intento teologico come in Vita di Pi nè alcuna preconfezionata scena new-age esistenzialista come in Gravity a corromperne la purezza. All is Lost comincia proprio dove cessa ogni comunicazione col mondo esterno pronunciandosi dunque fin dal principio come opera in cui ogni posizione accomodante è sacrificata in nome del rigore. Non c’è via d’uscita.
Questo rigore non riduce però All is Lost a un film esclusivamente costruito sull’azione. E’ vero che Chandor firma praticamente un thriller di ispirazione classica alla Hawks, conquistando l’attenzione dello spettatore con un crescendo di disperazione (che si accompagna alla diminuzione della superficie che separa Redford e il mare), e rimane attaccato al suo attore come a voler testimoniare un faccia a faccia sempre più netto con la morte. Mentre si assiste alla sua prova, è difficile non chiedersi come vada a finire, e ci si domanda se il titolo Tutto è Perduto non sia uno spoiler del finale! E proprio gli ultimi momenti sono una sfida per il pubblico in quanto l’opinione dello spettatore su ciò che accadrà alla fine si rivela un pretesto per testare la propria filosofia. Questo perchè, pur essendo per tutta la sua lunghezza un’avventura fisica, All is Lost vira negli ultimi minuti in territori quasi bressoniani, concentrandosi per pochi, meravigliosi secondi, tra fuoco e oscurità, in grandi domande sul tempo e sulla pazienza.
Stefano
Pingback: LA NOSTRA CINETECA | I Cineuforici()