Peter Jackson: Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato
Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato
(The Hobbit: An Unexpected Jurney, NZ/Usa/Uk 2012, 170 min., col., fantastico)
Molte critiche sono piovute su questo nuovo adattamento di Peter Jackson, ma Lo Hobbit è tutto tranne che una delusione.
La storia, per chi ha letto il libro di J. R Tolkien, è nota: Bilbo Beggins (Martin Freeman) accompagna lo stregone Gandalf (Ian McKellen che ha recitato a Londra quando gli altri attori erano in Nuova Zelanda…) e una dozzina di nani alla riconquista della loro montagna sacra usurpata dal dragone Smaug.
Le mani avanti sono d’obbligo; anche se pare scontato, è meglio ribadire che non si tratta di un capolavoro e l’idea che si tratti di un film fatto solo per incassare soldi aleggia nell’aria ed è molto più evidente che ne Il Signore degli anelli. Generalmente, questo tipo di pellicola non viene recensita da I Cineuforici non per un qualche tipo di dogmatismo d’essai, ma per rispetto di un cinema che si possa ancora definire arte. Lo Hobbit non sarà mai in nessuna lista di miglior film o checchessia, proprio perchè lontano da un modo di far cinema a noi caro.
Perchè allora sento la necessità di una recensione/riflessione sulla nuova pellicola di Peter Jackson? Per affrontare il tema del “nuovo”. Leggendo qua e là alcune recensioni e critiche, emerge nettamente la ricerca di un confronto che il film intrattiene con la “trilogia dell’anello”. Certo, un confronto deve esserci, ma esso non deve essere rivolto alle differenze, quanto verso i punti di “continuazione”. Se c’è una linea unica fra questi film c’è “novità”? No. O, meglio, non c’è la novità come viene intesa solitamente, ossia come qualcosa che non c’è mai stato prima e che non abbia il sapore del déjà vu. Nel Lo Hobbit, non si può dire che il tutto non sia già stato visto, anzi: non c’è niente di nuovo. Paradossalmente, questo è l’elemento di “novità”.
L’ambientazione, il richiamo iniziale da Il Signore degli Anelli, il medesimo regista, le musiche (elemento da non sottovalutare), le anticipazione di ciò che succederà sessant’anni dopo con la riunione a Gran Burrone (non presente nel libro), l’anello, Gollum e così via, non sono altro che elementi di “non novità nuova” che rendono Lo Hobbit un buon film in linea (e questo importante) con il precedente adattamento cinematografico dell’altro libro di Tolkien.
Chi è rimasto deluso? Chi si attendeva qualcosa di nuovo, nel suo senso quotidiano. Questo tipo di novità era presente ne Il Signore degli Anelli (si pensi al lavoro sul corpo dell’attore Andy Serkis nel ruolo di Gollum), ma non è necessaria in questo inizio di trilogia. Tutto lineare, tutto liscio, stesso tono e stessi cambiamenti dal testo: dalla fiaba all’epica. Ancora una volta Jackson, che piaccia o meno, ha azzeccato le sue mosse: quanti si perdono nel cercare a tutti i costi di strafare? Molti, troppi. Il regista, invece, è rimasto coerente all’interpretazione già data per la precedente trilogia e con la caratterizzazione dei personaggi (bravo Martin Freeman nel ruolo di Bilbo). Peccato solo per la troppa grafica computerizzata e per il minor interesse verso l’arte manuale dei costumi, del trucco e dei dècors.
Mattia Giannone
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