Bruno Dumont: Ma Loute


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BRUNO DUMONT

MA LOUTE

(Francia 2016, 122 min., col., grottesco)

 

Il filosofo Dumont prosegue, ininfluente, nel suo studio. I suoi saggi visivi analizzano lo scibile umano e l’influenza di questo sull’ambiente circondante, fuori da ogni paradigma e autoironico.

 

Dopo le attente ricerche sulla fede e le sue contraddizioni sociali dei precedenti film, Dumont si concentra sulla società e i suoi paradossi. Sorge così l’inaspettata e rocambolesca serie televisiva P’tit Quinquin, un vero e proprio schiaffo allo spettatore. Ma Loute riprende alcuni elementi del precedente lavoro, per metterli in contrapposizione con dei nuovi.

 

I Van Peteghem vanno in vacanza ogni anno nel solito posto. Questi borghesi, ormai in decadenza, guardano l’alterità con

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sufficienza o come una bestia da circo. Le loro vacanze si limitano a passeggiate nel giardino della dimora estiva, a guardare il tramonto e a osservare gli abitanti del posto. L’endogamia li ha resi strani, bislacchi e un po’ “freak”: ognuno ha i suoi difetti, tic o mostruosità. Dall’altra parte abbiamo, invece, gli abitanti del posto: semplici pescatori e che accompagnano i turisti da una parte all’altra del fiume. La sparizione di numerosi viaggiatori, mette in allerta la polizia che manda sul posto degli agenti.

 

Se dovessimo considerare solo gli abitanti del posto, dei quali fa parte il protagonista Ma Loute, e i poliziotti, ci troveremmo di fronte a una copia di P’tit Quinquin. L’ambiguità del loro stile di vita, i loro silenzi e gli sguardi impauriti erano già presenti nel lavoro precedente. La semplicità di questi si aggiungeva all’indagine comica e splapstick degli agenti, figli di una certa tradizione comica mondiale e francese. Tutto questo si ripete, seppur con trame diverse, in Ma Loute. Dove risiede, allora, la novità? Nei borghesi decaduti che fanno da contraltare alla classe popolare.

 

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Solitamente non parliamo di cast, ma in questo caso si fa un’eccezione. Dumont sceglie i propri attori prendendoli in giro. Si prende gioco dei ruoli che solitamente interpretano nei film francesi: un cinema innocuo e un po’ borghese che porta in sala lo spettatore medio. C’è di più: gli attori stanno al gioco, si permettono di esagerare, di divertirsi divertendo ed estremizzando i loro personaggi. Luchini è grandioso, Binoche è irriconoscibile e, finalmente, Valeria Bruni Tedeschi recita (quasi mandando a dire: “Solo deridendomi so recitare”). Gli attori imborghesiti dal pubblico lottano simbolicamente con gli attori non professionisti (o poco conosciuti) del popolo.

 

Di lotta di classe si deve parlare, anche se essa finisce in un nonnulla: una festa. Uno scontro superficiale, futile e metafora della modernità. Insomma, la satira di Dumont prosegue senza termine: anche i famosi diverbi fra operai e borghesi, non è altro che fumo. Intorno ad un buon vino, o a un poliziotto che s’invola come un palloncino gonfiato a elio, si può dimenticare tutto. La sintesi hegeliana, non s’ha da fare.

 

Mattia