Tommy Lee Jones: The Homesman

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TOMMY LEE JONES

The Homesman

(USA 2014, 122 min., col., drammatico/western)

Per tono e tematiche, l’ultimo film di Tommy Lee Jones ripercorre lo stile del western revisionista, cioè quel genere che, radicando i personaggi nel terreno della mitologia americana, si rivolgeva allo spettatore abituato alla distinzione buono/cattivo, dimostrandogli come quel modello fosse in realtà ambiguo, pur salvaguardandone i tratti più sani. Eppure, per forma, struttura, ed enfasi narrativa, il film sembra non appartenere a nessun genere (o sotto-genere) catalogato. Jones approccia un soggetto classico adottando una forma narrativa erratica, spezzata ed imperniata su contrasti ora netti, ora sfumati. Seguendo la marcia di due personaggi, si assiste alla loro evoluzione, mentre man mano si svelano le reali intenzioni di un film che è psicologico sotto le mentite spoglie di un film d’azione/avventura: George Briggs (Jones stesso) che non crede in nulla e che vive alla giornata; e Mary Bee Cuddy (Hilary Swank), timorata di Dio apparentemente solida e invece fondamentalmente fragile, al limite della psicosi. Se nella prima parte si assiste ad un andamento che sembra anticipare una parte successiva prevedibile (il vile che si trasforma in eroe coraggioso, la redenzione ecc.) le modalità in cui le filosofie dei due protagonisti si incontrano, specialmente negli ultimi trenta minuti della pellicola, fanno di questo film una delle visioni più difficili e articolate del cinema americano recente.

(Avvertiamo la presenza di spoiler, ma è molto difficile rendere un’idea del film senza citarne gli avvenimenti).

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Il film si divide in tre parti. Nella prima assistiamo ad alcune scene di vita in una comunità di pionieri nel Nebraska. Le condizioni sono tutt’altro che quelle che si possono immaginare nella “terra promessa” americana. Intemperie, squallore, noia. Vengono presentate le quattro donne della pellicola: Mary è una donna alla ricerca disperata di un marito, e attraverso un montaggio alternato, le tre “pazze” che, facendo parte della comunità, si sono ammattite proprio a causa della comunità, dei loro mariti, delle condizioni di vita miserabili, e degli imposti doveri matrimoniali e religiosi. Mary si offre volontaria per riportare le tre donne al civilizzato Est, e ordina al vagabondo George Briggs, cui ha salvato la vita, di scortarla. Quel che segue è il viaggio, che tradizionalmente è dall’Est all’Ovest, ribaltato invece da Ovest verso Est, e poi attraverso il fiume Missouri, dalla Frontiera verso i centri civilizzati. Dovrebbe essere la parte più tipicamente western, e infatti ci sono tutti gli elementi del western (banditi, pistole, indiani), eppure Jones sembra trattenere la carica emotiva del western, quasi appiattendo gli avvenimenti (sarà per questo che non è piaciuto a molti critici?), come relegati allo sfondo, mentre il vero nucleo si configura nel rapporto che si genera tra i due protagonisti, con sequenze al limite dell’allucinatorio (Mary che si perde nella prateria, vittima della sua stessa ostinazione) che sembrano imboccare due evoluzioni che però vengono clamorosamente smentite quando, a circa 2/3 della durata, Mary inspiegabilmente si suicida. Una morte che sorprende tanto quanto quella di Psycho (che ha fatto storia proprio per il suo “spezzare” la narrazione a quasi metà della sua durata) lasciando una scia fino alla conclusione. E veniamo quindi alla terza parte (ultimi 30 minuti): Briggs consegna con successo le donne a una casa di cura, ma qualcosa è cambiato. Viene congedato come se nulla fosse dalla proprietaria della casa di cura (Meryl Streep), ma sia la morte di Mary, sia l’aver conosciuto le tre donne sembrano averlo fatto diventare una persona migliore. Ma Briggs è davvero cambiato? Jones smentisce anche questa attesa: l’incontro con la civiltà, paradossalmente, lo ha fatto tornare quello di prima. Spende i suoi soldi per scarpe e vestiti alla moda, e compra una targa in nome di Mary che, ubriaco, lascia cadere dalla barca che lo sta riportando nel luogo da cui è venuto…nel fiume Missouri, che separa quel mondo dal suo. Briggs finisce non lontano da dove aveva iniziato. Il cambiamento è una illusione.

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Ciò che lascia disorientati è il divario esistente tra l’aspetto esteriore di film western vecchio stampo e l’approccio moderno del suo autore alla vicenda. Jones aveva già intrapreso la strada del western con Le Tre Sepolture, ma il risultato è completamente differente; rispetto a quello The Homesman è meno generico, più omogeneo, e forte di una chiarezza espressiva degna del miglior Eastwood. Ma soprattutto The Homesman è più denso del precedente, e drammaticamente più efficace, soprattutto nella progressione, che veicola via via un significato sempre più complesso e non univoco: si pensi a come il regista devia l’attenzione dalla figura di Mary a quella di Briggs, di come la pellicola tenda a spostare il suo baricentro. Una ricerca di significato che però rimane inconclusa (vanificata?) in un finale volutamente aperto a diverse interpretazioni: c’è chi ha visto la trasformazione di Briggs e chi invece ha interpretato il finale in modo differente (Briggs non cambia la sua natura). Ciò non toglie nulla ai pregi di questo attore convertitosi regista, e dello sguardo puro dimostrato nell’esprimere significato attraverso gesti e piccoli eventi, pure con un pizzico di senso dell’umorismo. Tutti questi elementi concorrono a distinguere The Homesman come prodotto che non ha niente a che vedere con recenti tentativi di revival come Appaloosa e Quel Treno Per Yuma.

Stefano