Richard Linklater: Boyhood

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RICHARD LINKLATER

Boyhood

(USA 2014, 166 min., col., drammatico)

“Le vite nei film sono perfette, belle o brutte, ma perfette.

Nei film non ci sono tempi morti. La vita è piena di tempi morti”

(frase dal film “Radiofreccia”)

Sulla genesi e lo sviluppo del film è già stato scritto di tutto. Ogni anno per 12 anni Richard Linklater ha radunato la troupe e il cast per seguire la crescita dei personaggi in contemporanea con la crescita dei suoi attori. Il risultato è una pellicola di meno di tre ore in cui, davanti ai nostri occhi, persone e personaggi cambiano e invecchiano. L’intento dichiarato dal regista è stato quello di rappresentare la vita, normale, di un ragazzo di nome Mason, dall’infanzia attraverso l’adolescenza, fino alle soglie dell’età adulta. Inevitabilmente con i personaggi è cambiato il mondo, l’America. Anche la stessa tecnologia di ripresa è cambiata, al punto che Linklater ha continuato a girare con la pellicola da 35 mm per consentire una continuità con la parte iniziale della pellicola, rinunciando al digitale.


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Boyhood rappresenta il corollario della carriera di Richard Linklater, che dopo la trilogia dei Before, giunge alla conclusione (?) del suo discorso sul tempo e sul cinema. Di Boyhood è quindi ammirevole l’intento e lo sforzo del regista, ed è praticamente impossibile non emozionarsi avendo a disposizione la possibilità di assistere all’azione torrenziale del tempo sugli attori/personaggi: un effetto speciale che forse solo il cinema può restituire. Meno ammirevole è invece la reazione del pubblico e della critica che l’ha acclamato a capolavoro assoluto a priori, senza cioè (salvo eccezioni) portare avanti alcun ragionamento critico sui difetti e sulle falle dell’opera che non solo esistono, ma che sono molte ed evidenti. Quel che è difficile negare, infatti, è il distacco tra il potenziale del film e quello che il film a conti fatti è: un film, cioè, abbastanza convenzionale. Si può ad esempio perdonare, magari, che in un opera come Boyhood manchi praticamente del tutto la morte: non sono quelli gli anni in cui si scopre, direttamente o indirettamente, da vicino oppure da lontano, l’esistenza e l’entità della morte? Si può perdonare anche che in Boyhood il sesso sia appena sfiorato: come si può lasciare allo stato di dettaglio, in secondo piano, la scoperta del sesso e la conseguenza di tale scoperta durante il passaggio tra infanzia e adolescenza? Ma ciò che non si può davvero perdonare in Boyhood, e che ne dimostra l’incoerenza di fondo, è come in un film che vorrebbe fare della spontaneità un principio-guida, tutto sia mantenuto sotto controllo, predeterminato, illustrato, spiegato, come se la vita fosse una sceneggiatura. Beninteso, coerentemente una trama vera non è imposta, ma incoerentemente c’è una conseguenzialità lineare che risponde ad un “piano di partenza” che taglia le gambe ad ogni ipotesi di slancio davvero vitale. Mancano, come nella frasetta a inizio recensione, i momenti morti.

BOYHOOD - 2014 FILM STILL - Ellar Coltrane

C’è una scena in cui Mason osserva un uccello morto nel fango in un vialetto (figura a destra): questa è una delle (troppo) poche scene davvero spontanee in tutto il film. In questa scena Mason non sta imparando a scuola, non sta avendo i primi approcci con le ragazze, non sta bevendo la sua prima birra, non sta facendo il suo primo lavoro, non sta ricevendo il suo primo rimprovero costruttivo, non sta dimostrando quanto è diventato maturo, non sta aprendo la mente e sviluppando una personalità, non sta facendo una cosa da copione, in quel momento Mason vive, è e basta. In questa scena il cinema restituisce qualcosa di potente, inafferrabile e universale, che ci permette di conoscere meglio Mason in questi pochi secondi che in tutto il resto del film. Per questo e per altro Boyhood non si eleva mai al di sopra di un film di finzione come tanti altri nonostante l’imponente esperienza realizzativa e umana che sta alle sue spalle.

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Potremmo in realtà supporre che non è la materia cinematografica in sè che interessa al regista, ma esclusivamente lo scorrimento del tempo, che rimane la sensazione predominante in tutto il film, coadiuvata da ellissi molto ben calibrate. Spesso, ad esempio, il solo taglio dei capelli di Mason è sufficiente a percepire un certo tempo trascorso da una scena alla successiva. A conferma di questa posizione, un altro picco del film è la scena in cui, mentre Mason si prepara a lasciare casa per il college, sua madre piange perchè raggiunge la consapevolezza che la sua vita è semplicemente passata via, trascorsa come se nulla fosse, proprio come è trascorso…il film. Detto questo a favore di Linklater, a livello estetico il peccato (per noi mortale! art.1…) di Boyhood sta nel suo porsi come strumento finalizzato ad esprimere un contenuto, contenuto già di per sè assurdo e difficilmente afferrabile, cioè nientemeno che mostrare e spiegare la vita nel suo svolgersi. Sono tante, infatti, le scene in cui qualcuno discute sulla vita: tralasciando la filosofia spiccia del padre (Ethan Hawke) che puntella purtroppo varie parti del film, verso la fine Mason spiega letteralmente il rapporto tra vita e vita virtuale alla sua fidanzata; in questo modo Linklater sembra voler dire “ecco, ora Mason è diventato maturo”, preferendo dare una risposta (la sua, e solo la sua) piuttosto che fare domande, e in Boyhood di domande ce ne sono davvero poche. Le immagini non sembrano mai vivere davvero, e la necessità di esprimere necessariamente qualcosa in ogni singola piccola sequenza è quasi sempre testimoniabile. Il cinema allora rimane allo stato/stadio di mezzo, certo un mezzo potente per esprimere vari (vaghi) contenuti, ma pur sempre un mezzo, che non apporta nessuna novità o perlomeno nessuna nuova prospettiva al cinema se non la possibilità (significativa senza dubbio) di operare un vero viaggio nel tempo, anche se però, ancora: più fisico che altro. Perchè, di cambiamenti non-fisici, comportamentali, non è che se ne vedano tanti in Boyhood, e i pochi che si vedono sono proprio quelli più costruiti (come il patrigno alcolizzato, personaggio scritto a tavolino, psicopatico e prevedibile allo stesso tempo). Tantomeno si vedono cambiamenti nel mondo attorno a Mason: a parte la colonna sonora, principalmente composta da hits in modo che lo spettatore possa collocare facilmente un certo anno o periodo con il proprio vissuto, vi sono alcuni blandi riferimenti alla guerra in Iraq e all’elezione di Obama. Non c’è traccia di un reale cambiamento nel mondo attorno a Mason, che rimane l’imperturbabile provincia americana. Questo non è necessariamente un male: Però non veniteci a parlare dell’America che cambia sullo sfondo.

Boyhood-Momentos-de-una-vida-Ellar-Coltrane-Mason-final

Espresse queste riserve, ci asteniamo da giudizi definitivi. Perchè Boyhood è un esempio di quei film così peculiari che non possono piacere o dispiacere universalmente, e in cui la sensibilità e l’emozione di ciascuno gioca un ruolo chiave nel giudizio complessivo. E’ sbagliato approcciarlo con il solito trucchetto “Bello…ma”, così come è inutile qualsiasi tentativo di giustificazione oggettiva dei propri gusti personali. I difetti per qualcuno possono essere per altri dei pregi, e così via. Perchè questa presa di posizione, alla fine? Per due motivi: perchè al di là del risultato, abbiamo apprezzato lo sforzo e l’ambizione di Linklater, che traspare come sincero, autentico (la prova? 12 anni di lavoro consecutivi e una fede incrollabile nelle potenzialità del cinema), laddove, in altri film che abbiamo criticato, sono state proprio le intenzioni di partenza a non esserci piaciute; e perchè, se c’è un altro merito in questo film, è anche quello di aver spostato la riflessione cinematografica su piani più alti rispetto a quelli dell'”attore-recita-bene-male” o “mi è piaciuto-non mi è piaciuto” o “interessante-noioso”, concentrandosi, finalmente, sulle potenzialità del cinema.

Stefano

  • Ismaele
  • http://www.icineuforici.com Stefano

    Grazie!

  • Ismaele

    alla fine, stefano, la recensione tua (e nel suo piccolo, la mia) sono del tipo “bello…ma”, mutatis mutandis, film affascinante e insieme deludente, anche l’astenersi da giudizi definitivi è una forma di “bello…ma”, che qui non è un colpo al cerchio e uno alla botte, ma il sottolineare delle contraddizioni, su un piano più alto.
    detto male, ma spero sia un po’ comprensibile.

  • http://www.icineuforici.com Stefano

    Capisco cosa vuoi dire. In fondo un giudizio c’è eccome nella mia recensione: è (neanche tanto) tra le righe. Ci tenevo a sottolineare come, ai fini di fare una critica onesta, non si può impostare un’osservazione sulla base di “bello, mi è piaciuto: spiego perchè”. Una osservazione dovrebbe essere una osservazione e basta (dico dovrebbe: anch’io spesso assumo vene polemiche che non hanno alcun valore, e che forse dovrei sedare). Se leggi in giro trovi pareri contrastanti neanche fossero tifoserie di calcio. Sembra che ultimamente un film debba essere o il più brutto di tutti i tempi, o il più grande capolavoro di tutti i tempi: ragionando in questi termini si farebbe di tutto per innalzare o affossare un film in base ai propri gusti/schemi mentali, magari tirando fuori cose che nel film non si vedono neanche col microscopio, o dando enorme valore ad elementi che invece nella pellicola hanno scarso peso specifico (e anche qui, ci vuole un minimo di onestà e umiltà nello stabilire cosa ha o non ha peso nella pellicola) nell’economia del film. Mi pare dal tuo blog che cerchi infatti di includere vari punti di vista, ed è una cosa che pochissimi fanno!

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