Christopher Nolan: Interstellar

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CHRISTOPHER NOLAN

Interstellar

(Usa 2014, 166 min., col., fantascienza)

Quella di Inception nel 2010 è stata una delle nostre prime recensioni. Dal 2010 Christopher Nolan ha rafforzato la sua fama di regista di culto, realizzando il controverso ultimo capitolo della trilogia di Batman con Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno. Ma è proprio a partire da Inception che è possibile  spiegare la natura, e sottolineare i pregi e i difetti, di Interstellar.

In modo abbastanza grezzo (erano gli esordi di questo piccolo angolo di euforici del cinema), avevamo espresso le nostre riserve nei confronti di un film che, sulla carta, sembrava rappresentare una svolta del cinema hollywoodiano, ma che sullo schermo faceva emergere i propri limiti. Innanzitutto, partiva con i presupposti di un esperimento interessante, ma diluito con molti stereotipi del cinema d’azione, per cui gran parte del potenziale intellettuale sopperiva alla necessità di soddisfare il bisogno del pubblico di sparatorie e inseguimenti (da lì, comunque, il suo successo); poi tradiva una struttura abbastanza pedante, appesantita da una materia così complessa da costringere i personaggi a passare più tempo a spiegare le regole del gioco (nella prima parte) che a giocarci; e infine, pur inserendo tanti interessanti elementi del mondo “onirico” (es. il sogno dentro al sogno), la realtà progettata da Nolan appariva più come una sessione di realtà virtuale che come un immersione psicologica, nella quale il sogno appariva più simile ad una architettura mentale che ad una manifestazione onirica del subconscio. Ma, sorvolando su questi elementi, il film era un bello spettacolo e un segnale di novità nel cinema hollywoodiano già incatenato a realizzare film da botteghino sugli eroi della Marvel come un’industria che, scoperta l’idea che vende, la mette direttamente su un nastro di produzione.

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Elevato dalla sua cerchia di fan a capolavoro, bersagliato da altri come piatta divulgazione scientifica priva di reale intensità cinematografica, Interstellar è di sicuro, e qui entrambe le parti non possono obiettare, il lato opposto e complementare di Inception. Era naturale che Nolan, interessato fin da Memento ai meccanismi della mente, proseguisse in direzione delle stelle. Da un lato perchè da sempre nella fantascienza c’è una significativa componente psicologica: l’ansia e la paura di fronte all’ignoto, all’infinito, e all’eterno. Dall’altro perchè nell’astrofisica si ritrovano alcuni di quegli elementi che caratterizzavano Inception, tra i quali, ad esempio, la relativizzazione del tempo. E’ proprio attraverso concetti di spazio-tempo che Nolan trova la sua poetica (se la vogliamo definire tale), è sul fondamento di quei concetti che edifica la struttura chiusa e circolare del suo film ed è su quelli che articola il suo rompicapo. Fin dai suoi esordi e per eccesso qui, dove prende addirittura un testo di fisica teorica come base di partenza, Christopher Nolan ha sempre tradito un approccio al cinema che più appartiene allo scienziato che all’artista, e la cosa non ci dispiaceva affatto, almeno fino a che le sceneggiature a sua disposizione funzionavano. E quello che funziona poco, in Interstellar, è proprio la sceneggiatura. Stesso problema di Inception: le cose da spiegare e giustificare sono tante e tirate per i capelli (non possiamo fare esempi a meno di non rivelare l’intera trama del film); basti dire che la veridicità scientifica, che per questo tipo di fantascienza “verosimile” è indispensabile, è spesso trascurata. I funzionamenti di buchi neri e wormhole sono piegati alle esigenze del film, ridotti a meri strumenti e privati della loro componente casuale e più affascinante – ecco: forse il problema è che non c’è proprio niente di casuale in Interstellar…tutto, alla fine, viene analizzato, dimostrato e assodato.

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Ma tralasciando quelli che alla fine possono esser considerati alla stregua di dettagli nella sceneggiatura (è un film, non un documentario!), ciò che non si delinea in maniera davvero suggestiva rimane il nucleo concettuale del film, basato su un umanesimo che vorrebbe essere poetico e struggente e che invece crolla sotto il peso di banalissimi dialoghi di assai dubbio significato: si parla a un certo punto di “amore come manufatto di proporzioni gigantesche che trascende lo spazio e il tempo” che lasciano, a meno che di non essere inguaribili sentimentali, abbastanza basiti. E questo è solo un esempio dei tanti dialoghi faticosi che si trascinano nel film, uno più inverosimile dell’altro (in alcuni punti, si fatica a credere che in quella situazione il personaggio possa esclamare concetti come quelli che vengono espressi) Insomma, non neghiamo il valore dei sentimenti, ma da lì a porre l’amore sopra il caso, per giunta a livello fisico/universale, o anche solo accostare le due cose, fa come minimo vacillare la credibilità nel risultato.

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E’ innegabile che in Interstellar traspare un autentico spirito d’avventura, laddove invece era l’azione a determinare il ritmo del precedente; e che sia pieno d’immaginazione, considerando che i momenti di stupore non si contano; e che la ricerca scientifica (seppur, ripetiamo, piegata alle esigenze del film) sia puntigliosa al punto che la rappresentazione del buco nero che si vede nel film pare sia molto simile alla realtà. Ma mentre Inception rimaneva, alla fine, un film aperto, con quella trottola che girava lasciando intendere molteplici scenari, Interstellar rimane una esperienza visiva e intellettuale ardita e affascinante, ma che non lascia altra interpretazione se non quella pre-imposta, che poco lascia quindi, alla nostra, di immaginazione, o alla riflessione post-visione (se non l’urgenza di districare la matassa del rompicapo); e priva quindi di altri scenari se non quelli espressi, peraltro in modo poco chiaro, dal suo autore, un vero “architetto del cinema”. Autore che, secondo noi, va preso per quelle che sono le sue migliori capacità: l’essere abile regista con il fiuto per gli affari, e allo stesso tempo dispensatore di kolossal intelligenti e intricati.

Stefano