David Cronenberg: Maps to the Stars


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DAVID CRONENBERG

Maps to the Stars

(USA/Canada 2014, 111 min., col., drammatico)

Sui miei quaderni di scolaro, sui miei banchi e i miei alberi, sulla sabbia e sulla neve, io scrivo il tuo nome…E per forza di una parola io ricomincio la mia vita. Sono nato per conoscerti, per nominarti: Libertà. (Paul Eluard)

Molti non sanno che farsene del nuovo cinema di David Cronenberg. Per questi molti, il suo cinema è diventato irritante, cerebrale, inaccessibile. Per questi molti, l’ultimo film di David Cronenberg è una fiacca critica del corrotto mondo hollywoodiano. Noi ci collochiamo tra quelli che non credono che si possa archiviare in poche parole uno dei film più complessi e stratificati degli ultimi mesi, film ad opera di quello che è oggi a tutti gli effetti il più grande regista canadese; e lo diciamo, in tutta onestà, senza ancora averlo elaborato completamente. Siamo chiari: non possiamo ragionevolmente esprimere un giudizio su un film del genere senza averlo visto più di una volta, e farlo senza averlo capito almeno in buona parte non renderebbe giustizia a un’opera che richiede molta attenzione e ragionamento da parte dello spettatore. Proviamo quindi a buttar giù alcune considerazioni, che non vogliono concorrere a formulare un giudizio.

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Iniziamo dicendo che non è possibile apprezzare l’ultimo Cronenberg a meno di non inquadrarlo nel più ampio spettro della sua filmografia recente. Visto “fuori” da essa, il film sarebbe in assoluto indigeribile come e più di Cosmopolis. Collocandolo invece all’interno del percorso autoriale del canadese, Maps to the Stars riprende, rielabora e amplifica le angosce e i disordini mentali di Cosmopolis e di A Dangerous Method, e soprattutto quelle di quest’ultimo, con il quale ha maggiori punti in comune. Le piaghe della carne in Maps to the Stars sono solo accennate e servono solo ad evocare un passato torbido, mentre le piaghe vere sono mentali, quando non addirittura esistenziali: da qui la stratificazione di un film che opera su piani correlati, del sociale (la società corrotta di Hollywood, i riferimenti apertamente metacinematografici, il cameo di Carrie  Fisher nel ruolo di sè stessa), dell’individuale (la psicanalisi) e del filosofico/astratto (la poesia riportata sopra, la ripetizione incestuosa). Ci piace pensare a questi piani di lettura come a parti di un’iceberg: se la punta dell’iceverg si vede da lontano, così sono evidenti le modalità di rappresentazione del declino dello star system; la base dell’iceberg è visibile da vicino, ed è ancora alla luce del sole, pertanto il lato individuale/psicanalitico è facilmente interpretabile; invece la parte sommersa dell’iceberg non solo non è visibile: è soprattutto la più grande, superando di molte unità le dimensioni della parte visibile. Analogamente, questo aspetto del film richiede uno sforzo che sia in grado di eguagliare l’audacia del regista. Ed è quest’ultima la lettura più ardua, ma anche la più affascinante, perchè sì oscura/esoterica, ma anche carica di infinite possibilità. Proviamo a riflettere su questi livelli.

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La critica al mondo hollywoodiano, alle sue star in declino, agli aspiranti divi e divette, alle pratiche new age, ai terapisti, ai favoritismi, alle pratiche sessuali per ottenere (forse) parti in qualche film, c’è tutta; ed è pure poco approfondita, mal descritta, grossolana. Cronenberg ci mette del suo con una certa, imprevedibile, verve umoristico/grottesca e poco più, andando a pescare nel contemporaneo di The Canyons, film rispetto al quale è difficile non trovare punti di contatto. Ma sappiamo che non è certo materia del regista la critica sociale, a meno che non sia, appunto, critica di una degenerazione (mutazione?) più estesa, in grado di trascendere il ristretto contesto losangelino. Una ragazza (Mia Wasikowska) arriva in città e diventa aiutante di un’attrice il cui unico scopo nella vita è interpretare la parte che fu della madre che abusava sessualmente di lei. La ragazza però non è nuova dell’ambiente, proviene da lì: anche il suo non è un arrivo, è un ritorno. Il padre è un terapista di star, guru ciarlatano discepolo sui generis di Jung (rimando a A Dangerous Method); il fratello un ragazzino, star precoce ex tossico dalle tendenze distruttive/sociopatiche. Si evince presto come a Cronenberg la critica della Babilonia californiana interessi ben poco, e come invece acquisiscano importanza i problemi psicologici dei suoi personaggi, che il regista analizza con la recentemente acquisita freddezza da laboratorio. Che questi problemi psicologici siano solo un interessante caso di studio del regista-scienziato, o piuttosto un più apprezzabile tentativo di metaforizzare i turbamenti e le angosce del contemporaneo (come fu in Cosmopolis), è una domanda cui solo un’analisi approfondita del livello “oscuro” del film può dare risposta.

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Ciò che domina il film è l’incesto. Non è un dettaglio, una provocazione come tanti giornalisti affetti da miopia hanno scritto; l’incesto è determinante a livello essenziale, non tanto perchè fonte/causa dei turbamenti psicologici che nel film occupano un ruolo centrale, quanto per il ruolo che occupa nel significato ultimo (e impenetrabile) del film: la ripetizione. Se anche il concetto-base del film è poco chiaro, se le coordinate di questa “Mappa per le Stelle” non sono pervenute, se si arriva alla fine con una sensazione di disagio, non si può però negare che un’architettura c’è, e di complessità inaudita. Segni, rimandi, simmetrie, parallelismi, concorrono a formare una intelaiatura fittissima e tenuta insieme proprio dal motivo dell’incesto, oltre che dall’enigmatica poesia di Paul Eluard; questa poesia la recitano tutti, anche persone che, apparentemente, non si conoscono. Sembra quasi che i personaggi non riescano a trovare pace fino a che non ripetono gli stessi gesti (incestuosi). Da un punto di vista nuovamente sociale/hollywoodiano, la ripetizione è ormai essenziale per la perpetuazione dell’industria hollywoodiana: si vedano tutti i remake che hollywood sta realizzando in questo periodo, l’urgenza di ripetere glorie del passato all’insegna di una sorta di follia del feticismo cinematografico; La ripetizione dell’incesto, alla fine, è il raggiungimento di una specie di libertà, ma anche della morte (la libertà passa attraverso la morte?). In Maps to The Stars, che nella realtà è una mappa che indica le case degli attori e registi  (stars) nel sobborgo losangelino (non è feticismo, questo?), Hollywood diviene luogo in cui si concentra l’ultima mutazione umana del campionario mostruoso di David Cronenberg (l’ultimo mostro era Eric Packer), una umanità priva di identità, di personalità, la cui sola liberazione potrebbe essere la morte stessa.

Stefano