Stephen Frears: Philomena
STEPHEN FREARS
Philomena
(UK 2013, 94 min., col., commedia/drammatico)
Irlanda, 1952. L’adolescente Philomena viene mandata in convento per essere ‘riportata sulla retta via’, poiché è rimasta incinta. Ancora molto piccolo, il bambino viene dato in adozione a una famiglia benestante di Washington. Da allora, Philomena non si è data pace e ha speso cinquanta anni in inutili ricerche. Grazie all’incontro con il giornalista Martin Sixsmith, incuriosito dalla sua storia, la donna si imbarcherà in un’avventura che la porterà in America dove scoprirà la straordinaria storia di suo figlio… (cinematografo.it)
Philomena è un bel film. Semplice e intelligente, emozionante e composto: è un film inattaccabile.
90 minuti di perfetto equilibrio di scrittura, regia e interpretazione e non ci sarebbe da aggiungere altro. Una scrittura, pura british wit, di battute misurate col calibro, e un modo di affrontare temi delicati (religione, maternità, omosessualità) senza alcuna pedanteria o moralismo, con tono leggero e brillante. Una interpretazione che fa leva sugli opposti, con la classica evoluzione del personaggio da disilluso a sensibile, con gag assicurate dalla struttura a road trip. A Venezia quest’anno molti si sono lamentati del fatto che i film trattassero solo temi morbosi e violenti, e molti hanno invocato il ritorno di un cinema classico: per quanto mi è riguardato, Philomena ha rappresentato un cinema così posato da bilanciare l’intera rassegna (piena, ricordiamo, di omicidi, stupri, feci, violenze domestiche e altre cose poco carine).
Per tutta la sua lunghezza, Stephen Frears ammorbidisce un contenuto di forte impatto emotivo con dosi al contagocce di comicità. Questo modo di costruire la storia può apparire molto ammiccante, ma non è così. Se in molti film statunitensi (sundance? chi? cosa?) gli elementi comici vengono impiegati per lo stesso fine, cioè per ammorbidire tematiche “forti”, mediante l’inserimento di bizzarrie e animaletti, personaggi clowneschi e cazzoni, finendo così per degradare il concetto di fondo con ruffianerie di bassa lega, il film di Frears lo fa a colpi di battute straordinarie (migliore sceneggiatura a Venezia) e sempre funzionali, pur nel loro intento di far ridere, alla costruzione/fortificazione delle personalità dei personaggi e delle loro vicende. La Dench interpreta una figura indimenticabile, nella sua apparente ingenuità; una ingenuità che non ha niente a che vedere con la melensaggine di Forrest Gump ma che è davvero genuina, conscia di ciò che dice, adorabile, squisita. La sua amabilità naif e un pò stordita fa scintille quando messa a contatto con il sofisticato Coogan, raffinato gentleman un pò cinico e intellettuale, e il prodotto chimico (veramente una “strana coppia”) che scaturisce da questi due elementi funziona, funziona davvero.
Così come il personaggio di Philomena, il film stesso, sebbene naif in molti (troppi) momenti, non è nè stupido nè ignorante, e ciò è confermato dalla filosofia della protagonista, contrapposta alla stupidità/crudeltà della Santissima suora che con autentica vocazione cristiana vende suo figlio a ricchi americani (se il film si sbilancia, lo fa a sfavore della Chiesa, qui messa veramente in cattiva luce), e dagli scontri con il giornalista, nei quali scopriamo che la donna può porsi al suo stesso livello mentale-dialettico, che può giocare sul suo stesso terreno di gioco. Il merito di questo “miracolo” di film è dovuto alla solida regia di Frears, che, collocandosi tra i registi meno invadenti di sempre, offre una masterclass di tempismo cinematografico, confermandosi un vero esperto (chef rende bene l’idea) nel saper scegliere quando usare e quando trattenere gli elementi (ingredienti) della trama (ricetta). Tutto sembra così collocato al posto giusto e al momento giusto.
In un film senza difetti come questo, il suo difetto è, paradossalmente, la sua precisione millimetrica, il suo essere sempre “medio”. Un film che fa piangere e ridere, una ricetta splendidamente tragicomica, in cui le emozioni sono calmierate e livellate, ma per il quale non si perderà mai la testa con la pancia e con il cuore come per il cinema più irregolare e conflittuale.
Un perfetto film per il Natale.