Contro il Cinema “Indie”: uno sfogo in vista della recensione di “Ruby Sparks”
Su questo blog ci siamo abituati a distinguere due filoni del cinema alternativo americano, e, non per fare i fondamentalisti, a lodarne uno e a distruggere (io spietatamente senza riserve, il Collega con miglior temperamento e moderazione) l’altro. I Cineuforici amano perdutamente i vari Anderson (specie Mattia), Baumbach (specie il sottoscritto), Jonze, Arononofsky e generalmente tutti quelli che, chi più chi meno, hanno flirtato o avuto lontanamente a che fare con quella mente illuminata che è Charlie Kaufman; e poi viene l’altro filone, che nel migliore dei casi non ci incanta, e nel peggiore detestiamo. Sto parlando dello stile Sundance.
E’ ora che dica la mia sullo stile sundance una volta per tutte.
Non so cosa c’è nel sundance che mi provoca tanto astio, ma divento maledettamente poco oggettivo quando vedo film che appartengono a questo filone. Ma il sundance è un filone? In origine no, anzi, all’inizio era solo un festival, fondato da quel vecchio grande Redford che volle incentivare gli autori emergenti americani schiacciati dalla macchina dei soldi hollywoodiana, e che bel festival quello che lanciò Jarmush, Tarantino e Soderbergh (e che premiò pure il primo dei fratelli Coen, Blood Simple: questo sì che è essere lungimiranti!). Cosa è successo allora? Il calo era già iniziato in realtà, ma nel 2006 arrivò Little Miss Sunshine e tutti pendettero dalle labbra dello stile frizzante e leggero, ma anche agrodolce, della coppia Dayton-Faris. Allora il film piacque anche a noi, e sarebbe stato meglio che si limitasse a piacevole eccezione del cinema americano come avrebbe dovuto essere; invece l’eccezione diventò la norma, e l’intero organismo-struttura Sundance cominciò ad adattarsi allo stile inventato dai due registi accelerando quello che è ormai il suo disastroso declino.
Abbiamo quindi cominciato a vedere tutta una serie di filmetti prepotentemente “indie”, una miriade di pellicole-furbe, ruffiane, accomodanti, finto-alternative destinate ad un pubblico di teenager, un pò commedia e un pò di serietà, ma poi ancora commedia perchè non vogliamo turbare nessuno, una situazione sentimentale come colonna portante, poi piazziamo qualche citazione colta qui, qualche nerd-itudine là, un pò di moda alternativa lì, il gruppo di tendenza qui, qualche elemento bizzarro che ci fa pensare “quanto è originale questo autore!”, un cagnolino o una bambina dolcissimi che ci fanno sorridere come ebeti, la situazione drammatica che a un certo punto ci strizza l’occhio e ci ricorda che stiamo guardando una cosa seria, poi alleggerita per fortuna dall’amico un pò cazzone e un pò filosofo che si fuma le canne e beve birra snocciolando consigli sulle donne…vi ricorda qualcosa?
So che mi odierete perchè molti amano questi film, ma cosucce come 500 Giorni Insieme, City Island, La mia vita a Garden State, Sunshine Cleaning, 50/50, Like Crazy sembrano fatte tutte con lo stampino. Parliamo di pellicole ultra-patinate, piacione, confezionate ad hoc, tanto più irritanti per il fatto di voler essere indipendenti risultando poi convenzionali e accomodanti più del filone mainstream da cui si vorrebbero discostare, dei veri trionfi di carineria, in cui tutti, dico tutti i personaggi sono carinissimi, mai nessuno brutto e cattivo, sempre stilosi, preferibilmente vintage, ammicanti, piacevolmente “complessi” e incasinati, bizzarri ma sempre seducenti, magnetici, mai che siano mai umanamente antipatici o vagamente reali, loro oppure le situazioni in cui si trovano. Qui parliamo di un mondo ai confini della realtà. Quello che un tempo era garanzia di qualità ora è ripetizione di stilemi e codici espressi fino alla nausea; e quelle cornici, quegli abbellimenti stilistici, quell’aria radical-chic, intellettualoide ma anche modaiola, tutto è fatuo, tutto è rassicurante, tutto è troppo, troppo troppo carino.
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Uhm… non ti odio per questa opinione ma dico solo che se questi film (praticamente tutti quelli che hai citato) ti fanno uscire dalla sala con il sorriso sulle labbra, vuol dire che a loro modo funzionano. Almeno per me. Quindi continuerò a guardarli e aspettarli, sperando che davvero non si finisca per scopiazzarsi senza ritegno e rovinare non tanto un genere quanto una tendenza. Lunga vita a Charlie Kaufman comunque!
Io sono d’accordo sul fatto della ripetizione di certi stilemi, ma preferisco vedere questo genere di film che altre commedie. Certo, sta diventando qualcosa di omogeneo, ma non è così che nascono i “generi cinematografici”? La risposta è affermativa, perchè i western o filoni sui biopic sono nati allo stesso modo e poi al loro interno si sono distinti a livello stilistico o narrativo. Succederà anche con il “genere Sundance”? Probabile. Quello che voglio dire è che tu Stefano vedi nell’omogeneità qualcosa di negativo, ma tutti i western hanno il cowboy e il cavallo. Vanno giudicati allo stesso modo? No sono diversi. Nell’uguaglianza vanno trovati i tratti che permettono di distinguere Ruby Sparks da 500 giorni insieme e così via. Non odio lo stile Sundance, anzi. Ciò che non mi piace, forse, è il fatto che se un prodotto funziona (Little Miss Sunshine) subito dopo si cerca di riproporre la formula, ma è così volente o nolente che nascono i generi noir, biopic, western e forse… Sundance!
Non puoi paragonare un filone, una moda, a un genere come il western. Afferra il concetto: i western hanno la stessa ambientazione e magari gli stessi personaggi-maschere (il cattivo, l’eroe solitario ecc), ma sono tutti diversi fra loro. C’è Ford e c’è Peckinpah, ci sono gli opposti, c’è lo spettacolo, ma tutti dicono qualcosa di diverso: l’epica della frontiera e i limiti dell’uomo, la lealtà, il concetto di giustizia, il nuovo che avanza e rimpiazza il vecchio eccetera; nel western stili e modalità di narrazione venivano continuamente rivisitati e riproposti in chiavi (quasi) sempre nuove. Questi film invece hanno ambientazioni e personaggi e anche generi diversi, ma ripetono la stessa cosa (“come è complicata la vita!” il motto-chiave) con gli stessi identici meccanismi narrativi. E poi il western è estraneo alla moda. Qui tutto è tendenza, abbigliamento, slang contemporaneo d’impatto. E non ho parlato di omogeneità, magari! ho parlato di ripetizione. Preferisco vedere una commedia “classica” alla James Brooks (“Qualcosa è cambiato” è una commedia squisitamente classica che però è puro genio) che uno spocchiosissimo 500 giorni insieme che ha come unico solo target “piacere” al pubblico!
Piacere al pubblico? A un certo tipo di pubblico. Chiedi alle migliaia di spettatori cinematografici se sanno cos’è Ruby Sparks (guarda il Box Office), mentre se chiedi se hanno visto Scary Movie ti dicono le battute a memoria. Il film stile Sundance non piace al pubblico, ma a un certo tipo di pubblico che si dilata eccezionalmente alla massa (Little Miss Sunshine) e come tale viene riproposto. Qui sta il passaggio fra arte e commercio, fra l’eccezione e la norma. Non paragono il western al film sundance, ma metto in evidenza come la nascita di alcuni generi è iniziata proprio così. Poi, può anche fermarsi (vedi la fine che hanno fatto i Cinepanettoni)e si spere che succeda così in questa serie di film preconfezionati che stanno uscendo dal Sundance, ma può anche continuare come il western e che ha permesso di creare dei capolavori, ma anche delle vere porcate.
Poi è ovvio, anch’io preferisco l’altra corrente del cinema d’autore americano, ma non mi sento di ditruggere così il filone Sundance. Preferisco infatti vedere Ruby Sparks che Ted o 500 giorni insieme piuttosto che l’ultimo American Pie. Ti consiglio, comunque, di leggere il libro di Rick Altman “Film/Genere”.
Beh, distinguiamo il pubblico americano da quello italiano, e soprattutto il sistema di distribuzione americano dal nostro. Questi film non dico che sfondino il botteghino oltreoceano (lo fanno ovviamente i film di supereroi) ma hanno un successo più che discreto, soprattutto di “cult” tra “quel certo” tipo di pubblico che dice di essere alternativo ma vuole vedere solo quello che conosce già. E poi non voglio bocciare a priori ogni cosa uscita da quell’ambiente (Ruby Sparks infatti non è male in confronto ad altri, e mi fido di quello che mi hai detto a proposito di Another Earth e Beasts of the southern wild che voglio vedere). Dico solo che non è il caso di sopravvalutarli, essendo (soprattutto le commedie romantiche, ma non solo) sostanzialmente mediocri.
Per quanto riguarda il genere, senti cosa dice in sintesi (preso da Wikipedia)la teoria di Rick Altman:
“Altan sostiene che nel gioco del genere, ogni soggetto (produzione, ricezione e critica) mette in atto meccanismi differenti di definizione del genere. La produzione attua la “generificazione”: formule di successo vengono serializzate; il pubblico crea i meccanismi di riconoscimento; la critica promuove la rigenerificazione che rilegge il sistema di generi e riscrive la memoria sociale dei generi. Un’altra linea d’analisi che Altman propone è l’asse semantico/sintattico; l’aspetto semantico fa riferimento agli elementi tematici del film (ambienti, personaggi, situazioni), l’aspetto sintattico si concentra sull’organizzazione di quegli elementi. Sia uno che l’altro, sono necessari per considerare un film come parte d’un determinato genere. Per Altman il genere cinematografico esiste quando diversi film condividono elementi sintattici e semantici; collega fortemente l’aspetto produttivo con l’aspetto di consumo che riconosce i generi dal momento in cui gli spettatori si scoprono accomunati attraverso un insieme di film.”
Secondo me, i film usciti dal Sundance in questi anni potranno (in futuro, perchè la definizione di genere è a posteriori)diventare un genere e, come tale, avere (magari esagero) anche dei capolavori. E’ vero, per ora sono di livello medio, ma chissà cosa ci riserva il futuro.
http://www.blogger.com/profile/09993226958393520486 Marco Goi – Cannibal Kid
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