La “spirale-Kinski”: l’entrata in campo secondo Werner Herzog

La “spirale-Kinski”:

l’entrata in campo secondo Werner Herzog

Esistono perle che la storia del cinema non potrà mai dimenticare. Guai a lasciarle nel dimenticatoio. Fra le tante, una nasce dal cinema del tedesco Werner Herzog e in particolare dall’entrata in campo dei personaggi: la famosa “spirale-Kinski”. Che cosa s’intende con questo termine? Lasciamo, innanzitutto, la parola al regista:
L’idea di Herzog è di sostituire un’inquadratura laterale priva di tensione a un’altra carica di senso per la pellicola e per lo spettatore. Infatti, secondo il regista bavarese, “quando entri nell’inquadratura di lato, mostrandoti di profilo, e poi ti rivolgiverso la cinepresa, non c’è tensione”, mentre il suo obiettivo è, nel caso di Aguirre, furore di Dio, di crearne della nuova ogni volta che si entra in campo. L’attore che interpreta Aguirre, non a caso il suo amico-nemico Klaus Kinski, riprendendo le parole del bavarese:
“entrava nell’inquadratura da sinistra con quel suo movimento rotatorio. Prima si posizionava accanto alla cinepresa, con il piede sinistro vicino al cavalletto. Poi superava il cavalletto con la gamba destra, torcendo il piede verso l’interno. L’intero corpo si srotolava organicamente davanti alla cinepresa, consentendogli di introdursi nell’immagine in modo fluido. Questo movimento creava una tensione davvero misteriosa e disturbante”.

Le ultime due frasi della citazione sono davvero importanti. In breve, la fluidità genera tensione. Meglio stacchi cinematografici su un personaggio già in campo o su entrate laterali “tagliate”? Herzog sembra non apprezzare questa scelta, optando un’entrata da “dietro”, dallo spettatore. Il pubblico è  sulla barca come lo è Aguirre/Kinski. Troppa carne al fuoco, si ritornerà su questo aspetto.

Come ben sottolineano Massimiliano Coviello e Francesco Zucconi nel loro saggio Dall’apostrofe allo sguardo etico nel cinema di Werner Herzog, con l’entrata di Kinski:
“si tratta di sostituire a un ingresso improvviso nel campo dell’inquadratura un movimento fluido in cui l’intero corpo si srotola organicamente. Rimettendo in scena la sintassi costituita dai movimenti attoriali di Kinski, Herzog compie un’operazione descrittiva e, al contempo, porta in superficie le strategie che sono sottese al suo cinema, proponendo allo spettatore una riflessioni per immagini”.
Insomma, ma già lo si era capito, non si tratta di una semplice scelta tecnica, ma di una scelta estetica e autoriale. Si prenda la sequenza in questione, quella in cui Aguirre si è “perso” sulla barca. L’occhio, e il cervello, dello spettatore è portato a notare lo sguardo di Kinski. In realtà c’è dell’altro. Ci sono l’amazzonia e la barca. Ci sono la Natura e una costruzione umana e poi, solo poi, Kinski/Aguirre. Il protagonista, con la scelta stilistica della “spirale”, non è il conquistadores, ma il luogo in cui lo spagnolo alla ricerca dell’Eldorado è inserito.
Qui si può fare un passo ulteriore e inserire quanto accennato poc’anzi riguardo allo spettatore. Se il ruolo da protagonista lo ha il Rio delle Amazzoni, c’è da chiedere qual è la parte di Kinski. La risposta è già stata detta: quella dello spettatore. Aguirre guarda la Natura sullo schermo come la guarderebbe il pubblico, il quale può specchiarsi e riconoscersi nell’occhio del conquistadores. Insomma, nello spettatore è presente questa riflessione: “Devo guardare il fiume e la barca? Ah sì, è corretto, perché Aguirre li sta guardando”. È questo “li sta guardando” la chiave di volta: lo spettatore guarda Aguirre e vede se stesso che osserva, perché anche il protagonista come lui viene da “dietro” la cinepresa, da dietro l’occhio. Se fosse comparso lateralmente, non si avrebbe avuto lo stesso effetto. Anzi, si sarebbe marcato il distacco fra il personaggio e lo spettatore, diminuendone il coinvolgimento. Dal profilo alla frontalità o dalla frontalità al profilo, dunque? Herzog sceglie, senza ombra di dubbio, la seconda opzione. Sempre in Dall’apostrofe allo sguardo etico nel cinema di Werner Herzog:
“Mentre il profilo costruisce un dialogo tra i personaggi della scena, la frontalità si impone dunque come infrazione della diegesi. Mettendo in processo tale opposizione, l’entrata in campo di Kinski assume qui i tratti di un’apostrofe: un’esplicita chiamata in causa dello spettatore da parte del discorso filmico”.
E, come sottolineano i due autori, questa è una scelta che ricorre nel cinema herzoghiano dilatandosi fin fino al recente The Bad Lieutenant.

 

Mattia Giannone