Kathryn Bigelow: Zero Dark Thirty
Zero Dark Thirty
(Usa 2012, 157 min., col., thriller)
Il titolo, Zero Dark Thirty, nel gergo militare americano sta a significare una qualsiasi ora fra mezzanotte e le quattro del mattino, ovvero: “molto presto”; è l’orario in cui si eseguono blitz militari. Il film non è stato visto in quelle ore, ma è stata dura ugualmente.
Gli anni e gli attimi prima dell’uccisione di Bin Laden, la ricerca del suo nascondiglio e gli interrogatori ai suoi messaggeri vengono mostrati sullo schermo dal punto di vista di un membro della CIA: Maya (Jessica Chastain).
Sarà pure candidato a cinque premi Oscar, ma la pellicola della Bigelow non è niente di più di un buon thriller statunitense. Condito e farcito di cliché, ripropone il medesimo format che ha permesso il successo del genere. Bisogna, però, dare merito alla Bigelow di aver preso la palla al balzo: e inserisce un paio di scene di tortura per suscitare un pizzico di polemica e, di conseguenza, notorietà sui giornali.
Entriamo nel merito. La prima parte della pellicola vede Maya (sono rimasto deluso dall’interpretazione della Chastain: un piagnisteo unico) alle prime armi con i prigionieri talebani; il suo collega le mostra come deve comportarsi con loro (carota e bastone) se vuole ottenere informazioni. Trattati come animali, i simpatizzanti della guerra santa chiedono “Perchè?” ai loro aguzzini; la risposta? “Perchè 3000 morti, con l’11 settembre?”. Occhio per occhio, dente per dente. Al di là delle polemiche politiche, si ha davvero l’impressione che questa prima parte sia gratuita all’interno della pellicola, anche perchè le successive vicende si allontanano da questa tematica; tanto più che l’agente co-protagonista Dan (Jason Park) – il torturatore – si eclissa nel corso della vicenda. Non c’è neanche la scusa dell’ “arrivare ai 90 minuti”, visto che il film dura ben 157 minuti.
Assodato che la prima parte è utile solo a scioccare gli ignari (?) cittadini mondiali, la seconda si dilunga sull’ascesa, le difficoltà e la dertminazione di Maya nella ricerca di Bin Laden. Qui, fra alti e bassi, Zero Dark Thirty diventa un buon thriller con scene e montaggi molto avvincenti anche se si è lontani da quel “capolavoro” di cui si parla. Questo thriller ha scosso gli animi degli spettatori, infatti, solo per il fatto che si tratta di “storia recente”, ancora viva nella memoria dei cittadini del mondo: i vari e numerosi attentati effettuati dai talebani, assopiti nell’inconscio perchè considerati (purtroppo) minori e meno sensazionalisti, ma che hanno comunque portato morte, si risvegliano e ci “ri-scuotono” nuovamente. In effetti, la Bigelow non mostra le immagini delle Torri Gemelle (fa sentire solo delle voci, delle richieste d’aiuto); esse ormai sono impresse nella nostra memoria e rivederle (è brutto dirlo) non porta nulla di nuovo: è abitudine, diventa quotidianità. Mostrare attentati dimenticati, meno suggestivi, per risvegliare l’inconscio: questo è l’obiettivo della seconda parte. La regista suona l’arpa dei nostri sentimenti, pizzicando corde secondarie nell’animo dello spettatore e mostrando le difficoltà di un agente della CIA “umana” come noi.
La terza parte, ossia l’individuazione del covo di Bin Landen, i tentennamenti burocratici e il blitz finale, sono la parte migliore del film. L’uccisione del “cattivone numero uno” (non svelo niente di particolare, si sa come è andata a finire) è un’ottima prova di climax. Il punto più alto non è raggiunto nel momento della sua uccisione, ma prima e dopo. Prima, durante il penetramento nell’abitazione, e dopo, nel ritorno alla base. La sua eliminazione è sminuita: è un morto come gli altri, anche se di estrema importanza. Gli uomini dell’operazione prima di festeggiare, infatti, devono tornare nella loro base nel più breve tempo possibile; solo al loro ritorno possono rilasciare la tensione e lo spettatore con loro. Insomma, quando viene ucciso Bin Laden lo spettatore è ancora nel climax in piena ascesa. Se fosse solo così, allora, chapeau. Dietro, però, non si può non intravedere un’operazione politica. Sminuendo Bin Laden in questo modo, si sminuisce il nemico talebano; lo si rende vulnerabile e umano: un uomo come gli altri. Distrutto Bin Laden, distrutto il nemico; la memoria dei morti, delle peggiori nefandezze, delle torture da entrambi i lati, dovrebbe rimane intatte, ma non è così.
Film furbo, film americano: buon thriller, ma nulla più.
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