Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud: Pollo Alle Prugne
MARJANE SATRAPI, VINCENT PARONNAUD
Pollo Alle Prugne
(Poulet Aux Prunes, Fra/Ger 2011, 93 min., col., drammatico)
E’ bastato il successo di Persepolis e un premio alla regia (Cannes 2007) a farci conoscere Vincent Paronnaud, giovane comic-artist realizzatore di cortometraggi di animazione, e la fumettista Marjane Satrapi, sceneggiatrice iraniana di cui Persepolis è ritratto autobiografico. Squadra che vince non si cambia e tornano di nuovo insieme quest’anno con Pollo Alle Prugne (il titolo sì, mette voglia di scappare), favola di un violinista che ha perso la voglia di vivere e che, chiuso per sette giorni nella sua camera da letto, rievoca (ahimè) la sua vita.
Cominciamo dall’ambientazione. Ci troviamo a Tehran, negli anni ’50, famiglia agiata, classici rimandi all’epoca, grosse automobili e fumo di sigaretta a quintali; se non fosse per alcune scritte in farsi sui negozi penseremmo di trovarci in Francia. Manca quindi quella contestualizzazione insita in Persepolis (e lì ci stava, molto bene) a favore di un’atmosfera vaga e onirica, alla Amarcord, che dovrebbe universalizzare gli eventi (succede a Tehran, ma potrebbe succedere ovunque ecc.), fuori dallo spazio e dal tempo. Non c’è Scià, nè Khomeini o rivoluzione islamica in Pollo Alle Prugne, pellicola che vorrebbe attingere invece alla cultura “millenaria” dell’Iran (allora diremo Persia), che qui è stata trattata in maniera troppo ridicolamente fiabesca. La casa sulle montagne del guru violinista non può che far sorridere (con accezione negativa), mentre ci viene da chiederci se stiamo davvero guardando un film ambientato in Iran, o se invece stiamo guardando un film ambientato nelle galassie di Star Wars. Ma sempre di un romanzo a fumetti si tratta, questa gliela perdoniamo.
Apriamo una parentesi: Jean Pierre Jeunet. Ma quanti registi avrà contagiato? E quanti cercheranno ancora di emularlo senza riuscirci? Lo scimmiottamento di Scorsese in Hugo Cabret ci è già bastato; ma qui si esagera: una moltitudine assurda e inconsistente di siparietti, di coglionerie stilistiche ad effetto, di apparizioni/allucinazioni completamente inutili, di decorazioni sfarzose che tolgono quando dovrebbero aggiungere. Non c’è un grammo del vero Jeunet: la libera associazione dei suoi lavori qui è un pasticcio colossale; le sue gallerie di ritratti qui vanno a formare un baraccone di personaggi improbabili; il puzzle, i dettagli, i moltissimi elementi apparentemente senza connessione, tutte quelle piccole cose insignificanti che in Jeunet sono sempre legate da una forza bellissima e misteriosa (Il Meraviglioso Mondo di Amelie), qui sono oggetti ammassati alla rinfusa. I voli pindarici dell’immaginazione di Jeunet (non spregevoli neanche nel più recente L’esplosivo Piano Di Bazin) in Pollo Alle Prugne precipitano sgraziatamente sotto il peso del suo stile.
Jeunet è barocco. Paronnaud è maniera, maniera, maniera.
L’ubriacatura stilistica di Pollo Alle Prugne non è l’unico fastidio che dobbiamo sopportare. Anche chi è felicemente sprovvisto del minimo senso critico si accorgerà di una mancanza di compattezza sostanziale, di una fragile connessione tra le sequenze, tenute insieme timidamente da una pedantissima voce fuori campo; e chi invece griderà al coraggio e all’innovazione dovrà risentirsi di fronte alla seconda parte, degna della peggiore soap araba, in cui tutto si riduce ad un amour fou che fa grondare miele da tutti gli angoli dello schermo.
Unica nota positiva: Il cartone animato, meraviglioso (stile Persepolis, appunto). Peccato che sia alla fine del film. Perchè non estenderlo a tutta la pellicola?