Monsters: Gareth Edwards
Monsters
(UK 2010, 93 min., col., fantascienza)
In attesa dei megapubblicizzati film fantascientifici di settembre (i vari Super 8 e L’alba del pianeta delle scimmie), che ci tempestavano con teaser, spot, trailer e così via, era ovvio che un capolavoro (non ci sono altri termini) come Monsters passasse inosservato.
Fra gli Usa e il Messico si è creata una No Man’s Land, destinata ad allargarsi sempre più, popolata da terribili mostri alieni. Un fotografo di una rivista statunitense (Scoot McNairy) e la figlia del suo titolare (Whitney Able), per varie vicessitudini si ritrovano bloccati in Messico. Per tornare a casa negli Usa sono costretti ad attraversare la zona infestata.
Gareth Edwards realizza una pellicola elegante e visivamente preziosa. Con la tecnica, riesce a trasformare una trama in un certo senso semplice in un gioiello visivo.
L’estetica passa davanti a tutto. Anche a causa di un badget ridotto, il regista non ha steso una vera e propria sceneggiatura; gli attori hanno spesso improvvisato (aiutati forse da una certa complicità emotiva, visto che nella vita quotidiana sono sposati).
Passiamo dunque alle componenti tecnico-estetiche.
La mdp è piazzata sulla scena filmica quasi a caso, in maniera grezza, soprattutto nei momenti di dialogo e dei primi piani. C’è sempre nell’inquadratura, qualcosa che dà fastidio all’occhio dello spettatore, che fa nascere in lui un senso di angoscia permanente. Il regista britannico, ci vuole dire che al di là del bel viso di Whitney Able in un primo piano, ad esempio, c’è qualcosa d’altro da mostrare. Ecco allora che viene a galla ciò che chiamo “ipermetropia della mdp”. Edwards, ci mostra sullo schermo il cambiamento di fuoco ottico e la sua lentezza, tipica degli ipermetropi. Dopo un primo piano, ad esempio, viene mostrato ciò che c’è sullo sfondo (un pannello, una casa e così via) con una frazione di secondo in più rispetto alla media. Il risultato è disturbante, così come lo è la situazione dei protagonisti.
Altra tecnica di grande effetto è l’asincronismo fra suono e immagine; il primo anticipa spesso il secondo creando un effetto di ingordigia: lo spettatore desidera vedere il prima possibile la scena che corrisponde all’audio appena udito, in contrapposizione, però, alla velocità della pellicola: lenta e spossata. Ciò rispecchia il carattere del fotografo: vuole assolutamente e a tutti i costi cogliere ogni istante con la sua macchina fotografica, anche se in fondo in fondo si sta chiedendo perchè continui a farlo.
Gareth Edwards cura anche la fotografia (e gli effetti speciali), sempre carica di pathos e di luce brillante, ma allo stesso tempo semisoffusa, dando l’idea di un tempo altro ma molto vicino a noi.
Apprezzato dalla critica, ma dimenticato dagli spettatori, Monsters è più di un film di fantascienza: è una storia d’amore in una realtà impossibile. E’, con le parole del regista, “qualcosa come un Lost in Traslation, che incontra La guerra dei mondi”.
Mattia Giannone
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