Tomas Alfredson: La Talpa
TOMAS ALFREDSON
La Talpa
(“Tinker, Tailor, Soldier, Spy”, UK 2011, 127 min., col., drammatico/spionaggio)
“Sono orgoglioso di aver consegnato ad Alfredson il mio materiale, ma ciò che ne ha realizzato è meravigliosamente suo” (john Le Carrè)
John Le Carrè era ancora un membro dell’MI6 quando un agente doppiogiochista ha fatto saltare la copertura a molti suoi compagni. Profondamente turbato, si ritirò e scrisse una delle sue opere più accattivanti ispirandosi alla sua stessa esperienza professionale.
Guerra Fredda. George Smiley è tagliato fuori dai vertici dell’MI6 insieme al suo capo, Controllo, dopo una disastrosa missione in Ungheria. Una “cricca” di burocrati, fiduciosi di avere ottenuto un dossier scottante (o…mangime per polli?) sulle operazioni militari sovietiche, prende il loro posto. Tra di loro c’è un traditore, che vende a Karla, inafferrabile spymaster del KGB, informazioni chiave della NATO (stavolta NON mangime per polli), mandando all’aria ogni operazione e provocando la morte dei suoi agenti.
Lo spionaggio, che sia letterario o cinematografico, è solitamente considerato un genere secondario, sempre a metà strada tra il fratello “buono” (giallo), e quello “cattivo” (noir), dai quali eredita solo alcune somiglianze caratteriali. Che sia fascinoso (007) o ipertecnologico (Mission:Impossible) non si fa però mancare le attenzioni del pubblico, al prezzo di slegarsi irrimediabilmente dalla realtà. Con John Le Carrè, anche lo spionaggio ha il suo vero autore con la A maiuscola. Niente mediocre propaganda anticomunista: NATO, URSS agiscono con le stesse feroci modalità, in nome di un ideologia sempre più vaga; il conflitto non vede tanto protagonisti i blocchi (chi sta a “sinistra” o a “destra”) quanto chi scala il potere e chi ne rimane schiacciato (chi sta in “alto” e chi in “basso”).
Lo svedese Paul Alfredson realizza una pellicola di austera e inappuntabile eleganza, di efficiente complessità, un orologio svizzero. La ricostruzione di questa nebbiosa Londra ’70 in cui ogni ideale di cambiamento è morto (mai esistito..?), dipinge solo uomini che usano uomini, come sempre. L’azione è sempre in secondo piano, mentre lo svolgimento è tutto a posteriori, coordinato da una serie di calcolatissimi flashback ellittici. Allo spettatore è richiesta una partecipazione severa (il sottoscritto ammette di aver faticato a mettere insieme i pezzi), a dimostrazione che non ci viene propinato il solito film d’intrattenimento passivo. Dunque, chi pensa che il genere imputato debba ridursi a sparatorie e inseguimenti meglio che stia alla larga: 007 sta a La Talpa come una partita di calcio sta a una partita di scacchi, soprattutto quando vede protagonista un occhialuto simil-secchione, cornuto (elemento tutt’altro che secondario nello sviluppo della storia) e tutt’altro che coraggioso.
Il full-english cast è un elemento funzionale del film, che va a braccetto con la suddetta classe registica. Un “James Bond” o un “Ethan Hunt”, messo da parte il caricato carisma (che sia Martini, Aston Martin e fighe nell’uno, travestimenti, pettorali e high-tech nell’altro), è sempre a conti fatti una macchietta action-glamour. Invece l’introverso, disilluso Gary Oldman è noioso a guardarsi, ma dietro a quella mente calcolatrice emerge (sempre un pò celata si ricordi, english-style non si scappa) un’anima tormentata e bisognosa di riscatto (privato e professionale: battere Karla, la nemesi sovietica); John Hurt, capo carismatico soppiantato da un ammasso di arrivisti senza scrupoli (il film è, ad una lettura ancora più sottile, una storia di tradimento e amicizie finite); e che dire di Colin Firth: ambiguo in tutti i sensi (sì, anche quello: si veda la scena della festa). In definitiva, ognuno nasconde dietro alla propria maschera di imperturbabilita’ un segreto (la propria umanità) per sopravvivere nel loro (ma e’ anche il nostro) mondo spietato.
La Talpa è quello che mi aspetto di vedere in una film di spionaggio, e (da parte mia) in un film in generale.
Stefano Uboldi
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