L’esplosivo piano di Bazil
L’esplosivo piano di Bazil
(Micmacs à tire-larigot, Francia 2009, 105 min., commedia)
Bazil (Dany Boon) ha perso il padre per lo scoppio di una mina e ha una pallottola in testa ricevuta accidentalmente dopo uno scontro a fuoco fuori dal suo negozio. Le armi non sono il suo forte. Ritrovatosi in strada, viene accolto da un gruppo di emarginati sociali che riutilizzano tutto ciò che viene catalogato come spazzatura dalla popolazione. Nel gruppo di Tire-Larigot ci sono dei personaggi bizzarri e ognuno con delle caratteristica speciali: da Placard (Jean-Pierre Marielle) alla cuoca Tambouille (Yolande Moreau), dalla contorsionista La Mome Caoutchouc (Julie Ferrier) all’esperto di “frasi fatte” Remington (Omar Sy) e l’uomo-cannone Fracasse (Dominique Pinon).
Un giorno Bazil, passegiando per strada, riconosce il logo, su due edifici diversi, della mina e del proiettile che hanno cambiato la sua vita. Insieme agli abitanti di Tire-Larigot deciderà di vendicarsi…
Ultimo film di Jean-Pierre Jeunet dopo un silenzio lungo cinque anni, forse anche a causa del non fortunato Una lunga domenica di passioni. Il regista francese, con L’esplosivo piano di Bazil, segna un ritorno alle orgini nonostante la separazione da Marc Caro (sodalizio che portò alla luce film come Delicatessen – citato nel film – e La città perduta) firmando una pellicola carica di satira e di antimilitarismo.
I toni sono più duri rispetto a Il favoloso mondo di Amelie e non mancano le frecciate all’attualità. Il clima che si respira è quello tipico dei suoi film: dalla “fotografia lucida e umida” (nel senso che ogni cosa riflette la luce come se fosse una superficie bagnata) nonchè scura, alla caratterizzazione estrema dei personaggi; dall’esposizione del pensiero di un individuo come se fosse una “nuvola” di un fumetto, alla narrazione fiabesca; dai costumi eccentrici alla nozione di tempo come casualità e coincidenza.
Insomma, tutti gli ingredienti tipici di Jeunet anche se siamo lontani dal “senso di novità” dei suoi primi film: sembrà più un rimpianto dei tempi felici che un ritorno cosciente alle origini.
Mattia Giannone
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