Bright Star

JANE CAMPION

Bright Star

(UK/Francia 2009, 119min., col., drammatico)

Questo film, che NON VUOLE essere un biopic di John Keats, che SOLO APPARENTEMENTE è un film di costume e che QUASI CERTAMENTE vi sembrerà un tedio senza fine, è probabilmente il più romantico, (in senso letterale-culturale-filosofico, non hovogliadite-mocciastyle), affascinante e riuscito film sulla poesia che (almeno io) abbia mai visto.

La neozelandese Jane Campion ha già diretto “Lezioni di Piano” e “In The Cut”, entrambi film con la costante di certa crudezza di linguaggio (il dito mozzato, l’ambiente scabroso) e soprattutto con protagoniste femminili complesse (Holly Hunter, Meg Ryan).

Ambientato nella campagna inglese vittoriana, “Bright Star” racconta sì la storia di John keats, (sconosciuto e squattrinato e malaticcio poeta romantico isolato e bistrattato dalla critica dell’epoca costretto a farsi mantenere da amici e conoscenti), ma dal punto di vista dell’amata Fanny, anticonvenzionale studentessa di moda.

La “parte” sentimentale del film è timida, celata, discreta; non aspettatevi scene madre da film romantico strappalacrime. Non vi sono grandi frasi da annali del cinema come ci si può aspettare da un poeta romantico. L’innamoramento avviene per dettagli e sguardi. Spontaneo come la poesia di Keats, che afferma nel film “Se la poesia non nasce naturalmente come le foglie vengono ad un albero, è meglio che non nasca per niente”.

La stessa figura di Keats (Ben Whishaw, già Rimbaud in “Io non sono qui”) non è retorica e studiata a tavolino per fare impazzire ragazzine allupate. E’ un personaggio mite, per niente ribelle o eroico, colto e, diciamolo, parecchio sfigato. Conscio dei suoi limiti, si lascia cullare un pò passivamente dalle circostanze. Contiene ogni emozione e la condensa in arte.

Fanny invece è determinata, si esprime liberamente, è un personaggio dinamico insomma. Amici e parenti (persino John) cercano di preservarla dal certo dolore di una relazione senza prospettive, impossibile.

Il ritmo non è mai da sbadiglio, le sequenze alternano la tranquillità della brughiera inglese e la quotidianità borghese della famiglia di Fanny con l’acuta sofferenza della sua relazione.

La recitazione, comunque eccezionale, impallidisce però a confronto con l’estetica del film: la regista sembra più interessata ai fiori attorno ai due amanti distesi sulla brughiera inglese che agli amanti stessi. Tutto il film ruota attorno a loro due, senza essere MAI loro due. Ogni azione dei due amanti è sempre contenuta, ma è solo la punta di un iceberg di profonda passione e desiderio.

L’attenzione ai particolari (fiocchi, merletti, cappelli, posate) supera quelli del normale film di costume. Mai niente di eccessivo, l’equilibrio del film è assoluto. Il tempo è quello delle stagioni e delle foglie, non ci sono colpi di scena. Solo la malattia del poeta, morto a 25 anni in totale povertà rompe l’idillio.

Stella luminosa, fossi fermo come tu lo sei…

Stefano Uboldi