Noah Baumbach: Giovani Si Diventa

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NOAH BAUMBACH

Giovani Si Diventa

(While We’re Young, USA 2014, 96 min., col., commedia)

Dispiace ammetterlo, ma l’ultimo film di Noah Baumbach, Giovani Si Diventa (titolo di una bruttezza imbarazzante, ma d’altronde come non dimenticare 5 anni fa Greenberg ri-titolato in italia col terrificante Lo Stravagante Mondo di Greenberg?), è una parziale delusione, specie considerando l’attenzione da noi sempre dimostrata per uno dei registi più raffinati d’oltreoceano; Con While We’re Young (così va meglio) Baumbach realizza il suo film più accessibile, ma anche il più convenzionale, e, ciò che è peggio, il più superficiale. La convenzionalità di una struttura narrativa facile e prevedibile; la superficialità dei personaggi, e, quest’ultima, proprio a uno come Baumbach (anche qui come sempre sceneggiatore), non la possiamo perdonare.

La pellicola è tutta giocata sull’incontro tra due generazioni, quella dei quarantenni (Affleck e Watts), e quella dei ventenni (Driver e Seyfried) newyorkesi (e sottolineiamo: newyorkesi), sulla messa in ridicolo delle contraddizioni, di un gap apparentemente incolmabile, e si sviluppa mostrando come si venga a creare, tra le due, una forma di relazione ambigua basata sullo sfruttamento reciproco: i primi frequentano i secondi per rigenerarsi, i secondi sfruttano i primi per affermarsi. In realtà, la tematica è coerentemente “baumbachiana”, con una particolare efficacia nel rappresentare i momenti di imbarazzo e di disagio, psicologico e relazionale.

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Non mancano infatti momenti brillanti, come tutta la critica a una certa pseudocultura hipster, improntata da una prevalente apparenza, da un pressapochismo intellettuale, da una coolness senza arte nè parte, senza nerbo e senza prospettiva; è anche il film più genuinamente divertente mai realizzato dal regista finora, e molto dello humour all’interno del film nasce proprio dalla satira rivolta allo stile di vita retrò dei due ventenni, circondati da LP, VHS, scrivanie fatte su misura, macchine da scrivere invece che PC, come se circondarsi di tutti questi oggetti vintage rappresentasse qualche forma di scelta alternativa; quando invece alla fine, i due “invecchieranno come tutti gli altri”, come dice, lucidamente, il personaggio della Seyfried a un certo punto. Ancora più divertenti sono i goffi tentativi dei quarantenni di imitare i più giovani, di riconquistare la freschezza perduta: Naomi Watts che cerca di ballare l’hip-hop sembrando, invece, in preda ad attacchi epilettici, varrebbe da sola la visione.

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Già nella seconda parte, il film perde trazione, e basta poco per indovinare dove voglia andare a parare. Comincia come un film di Baumbach, con i suoi personaggi disillusi e disfunzionali, fuori posto e fuori tempo; ma finisce per diventare col passare dei minuti il film di un qualche regista di commedie americane, con tanto di scenetta che ricapitola i passaggi precedenti (quando cioè il protagonista ricostruisce il processo di sfruttamento del giovane avversario/documentarista). Sembra poi che Baumbach non sia riuscito questa volta a donare grande profondità caratteriale ai suoi personaggi, almeno non ai livelli che conoscevamo, specialmente nei confronti dei personaggi più giovani, e questo lascia alla fine un vuoto di cinismo spiazzante. Pensiamo ai suoi ultimi film, alla complessità, alla delicatezza e all’empatia con cui rappresentava non solo i suoi personaggi, ma anche l’ambiente che li circondava: la desolazione psicologica e comportamentale di Roger Greenberg, il mondo d’illusione spettrale che egli auto-alimentava, la suburbia americana come sorta di limbo in cui le vite sembravano congelarsi; o la vulnerabilità, l’insicurezza, la discreta tenerezza, la voglia di combattere e insieme l’allettante tentazione di resa che stava nella splendida Frances Halladay di Greta Gerwig. Per non parlare delle rievocazioni cinefile, dei piccoli momenti colmi di dettagli descrittivi, delle situazioni ben cesellate, dell’ironia non solo ridicola (com’è qui) ma anche pungente e dolorosa cui il regista ci aveva abituato: tutto questo in Giovani Si Diventa purtroppo manca, o almeno, non l’abbiamo visto.

Speriamo si tratti di una parentesi nella finora impeccabile filmografia di un regista che stimiamo da sempre. E aspettiamo quindi con un pò più di ansia, e un pò più di preoccupazione, il nuovo Mistress America che dovrebbe segnare il ritorno della musa Greta Gerwig.

Stefano