Nicolas Winding Refn: Drive

NICOLAS WINDING REFN

Drive

(Usa 2011, 95 min., col., noir/drammatico)

Driver è uno stuntman part-time che di giorno lavora in un’officina e di notte fa l’autista a ladri e rapinatori. Driver pensa e agisce come una macchina: la sua regola impone che i suoi “passeggeri” compino i loro affari nell’arco di cinque minuti, dopo i quali lui taglia la corda, con o senza di loro. La sua vita cambierà dopo l’incontro con la vicina Irene, sposata con un malvivente che lo metterà nei guai.

Il danese Refn (alla sua prima prova hollywoodiana) è riuscito a raccontare una favola metropolitana, dalle tinte noir, senza la minima sbavatura (lineare, preciso, diretto) e con una sensibilità squisitamente “europea”. Come dice lui stesso: “Volevo fare del mio film una fiaba a Los Angeles. Quello di Driver è un personaggio mitologico (…): l’uomo che indossa una giacchetta di raso con uno scorpione sulla schiena e protegge gli innocenti dal male, sacrificandosi in nome della purezza”. Più che la vicenda in sè appassiona lui, Driver, interpretato dal glaciale Ryan Gosling, un pò Brando e un pò O’Neil, con la sua doppia vita, ora autista sereno come un monaco zen e nel momento successivo intento a sfondare il cranio di un sicario, senza la minima variazione espressiva.

Refn sembra essere solo vagamente interessato allo svolgimento. La pellicola dura 95 minuti, ma potrebbe quasi essere un cortometraggio (in realtà “succede” pochissimo nel corso del film) se non fosse per le molte scene lunghissime ed ipnotiche, che sfociano in violenza fulminea spiazzando inevitabilmente lo spettatore. Ben lontana dall’essere pulp come si è detto, essa funge da contraltare alla natura pacata, quasi ascetica del protagonista, e alla natura dell’opera più in generale. Da aggiungere l’ammirazione di Refn per il cinema sperimentale di Kenneth Anger, e per Scorpio Rising (la giacca di Driver evoca il mitico scorpione) che in qualche modo ne ha influenzato l’estetica.

Nel film si parla pochissimo; sono gli ambienti a parlare al posto del protagonista. Los Angeles, ripresa magnifica tanto nelle inquadrature aeree quanto nelle interminabili autostrade e acquedotti, nelle luci al neon, nei locali notturni, nei quartieri residenziali tutti uguali, schizofrenicamente contesa tra l’iper-realismo della vita “di strada” e la finzione cinematografica.

Premio meritatissimo alla regia all’ultimo festival di Cannes, Drive è una pellicola con un piede nel passato e uno nel futuro: come i classici, attinge alla tradizione (i gangster, l’innamoramento, il mito della strada) ma con uno stile contemporaneo che fa sembrare una storia palesemente trita (quella dell’animale che morde quando è messo all’angolo) come se l’avessimo vista per la prima volta.

Stefano Uboldi