Asghar Farhadi: Il Cliente

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ASGHAR FARHADI

Il Cliente

(Iran 2016, 125 min., col., drammatico)

Ormai arrivato alla vetta, Asghar Farhadi si ritrova nella difficile situazione di rimanerci oppure scendere. Dopo una tripletta di film straordinari, uno più complesso del precedente (A Proposito di Elly, Una Separazione, Il Passato), e dopo essere stato consacrato agli Oscar e a Cannes, dove ormai è entrato a far parte della cerchia magica, probabilmente il regista iraniano ha dovuto scegliere se semplificare il proprio cinema e ripartire seguendo direzioni nuove, oppure restare coerente con i propri argomenti e rilanciarlo, arricchendolo di una maggiore complessità e stratificazione. Se il ritorno in patria (dopo l’internazionale Il Passato) suggerirebbe la prima strada, con Il Cliente Farhadi sembra aver voluto decisamente intraprendere la seconda. Il risultato? Farhadi cammina ora pericolosamente sul filo tra la sublimazione del proprio cinema e la sua maniera. La quantità e la qualità degli argomenti aumenta, ma la tecnica non sembra sempre seguirne il passo.

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Il cinema è una trama e Farhadi il suo tessitore. Abbiamo osservato che in ogni film Farhadi tesse una trama che, pur rimanendo coerente con quelle passate, risulta ogni volta più intricata e sorprendente di quella che l’ha preceduta. In Il Cliente il tema predominante rimane l’incomprensione che genera conseguenze deleterie che si riversano a catena ramificandosi a partire da un singolo evento, sullo sfondo della generale opprimente ossessione per la moralità indotta dal regime degli Ayatollah. Come sempre in Farhadi, l’onnipresente paura di scandali e giudizi costringe i propri personaggi a una serie di non-detti e alla costruzione di barriere, che portano lo spettatore ad interrogarsi sulla ricostruzione dei fatti, e sulla distribuzione di colpe e responsabilità come avviene in un tribunale. A questo tema, a cui ormai siamo abituati, viene qui aggiunta altra carne al fuoco, per giunta meta-testuale/teatrale, poichè i protagonisti stanno mettendo in scena La morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller. Chi è bravo capirà i rimandi tra la messa in scena dell’opera e la realtà che irrompe violentemente nella vita dei protagonisti. Insomma, la posta sul piatto è di nuovo aumentata. Ma il cinema di Farhadi riesce a stare efficacemente dietro a tutta questa opulenza testuale?

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All’inizio sembra di sì. I primi minuti di Il Cliente ne fanno infatti un capolavoro annunciato. In piena notte, i coniugi protagonisti devono evacuare il palazzo a rischio di crollo in cui vivono, mentre all’esterno si intravede una ruspa pronta ad abbattere l’edificio. La suggestione simbolica è fortissima: qualcosa fuori da casa nostra (l’estraneo) vuole abbattere le fondamenta della nostra casa (le nostre certezze); la sequenza è girata nevroticamente, magistralmente e con la ruvidezza degli esordi, e dà la suggestione tangibile di qualcosa di imminente e distruttivo. I due si trasferiscono in un’altra casa, che poi si scoprirà essere stata abitata da una prostituta; un giorno la moglie apre al campanello, ma non è il marito, bensì un vecchio cliente della precedente inquilina. A questi eventi, che accompagnano già parecchi temi (sociali ed economici), si affiancano le prove in corso dei coniugi in procinto di rappresentare l’opera teatrale. Qui subentra un altro elemento, quello psicologico. Il film gioca molto sulla contrapposizione tra l’ordine imposto dalla rappresentazione (che viene necessariamente appiattita dalle imposizioni morali coraniche – ulteriore tema del film) e il caos della vita reale, e su come i personaggi dell’opera influenzino la psicologia degli attori. Il marito, uomo di città progressista, posato e riflessivo, interpreta un venditore frustrato: Quando sua moglie si viene a trovare in pericolo, vedrà frustate le proprie certezze al punto da mettere in dubbio la propria virilità, e quindi la propria responsabilità sociale di uomo e marito, al punto di snaturarsi…

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Col passare dei minuti, il film riesce a sostenere la quantità e la mole dei propri contenuti, ma solo grazie alla capacità di un maestro come Farhadi. Il problema è che non fa molto di più che rappresentare. La natura enigmatica e misteriosa che aveva reso grandi i precedenti film del regista iraniano deve per forza venire meno per sostenere la mole di temi e ramificazioni. A parte la scena iniziale della ruspa, poco viene lasciato alla vera suggestione cinematografica, e troppo rimane appiccicato al testo. Il Cliente è quindi un ottimo film, intelligente e ambizioso come il suo autore, ma troppo dipendente dalla sua stessa sceneggiatura. Accumula, accumula ma non esplode mai in sequenze indimenticabili, come quelle che abbondavano in Una Separazione, oggi considerato uno dei film più importanti del decennio e primo esempio tirato in campo da mezza critica mondiale per sottolineare la superba qualità del cinema iraniano contemporaneo. Farhadi è ancora il Maestro, ma deve stare attento a non fare troppi nodi nelle sue tele…

Stefano