Jeff Nichols: Midnight Special


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JEFF NICHOLS

MIDNIGHT SPECIAL

(Usa 2016, 111 min., col., thriller/fantascienza)

 

Jeff Nichols è l’erede di Spielberg? È la rinascita della fantascienza? Domande che lasciano il tempo che trovano e che non rendono onore a un regista dal percorso cinematografico originalissimo. In un’annata che vede alla ribalta il genere fantascientifico, basti a pensare al successo meritato dell’ottima serie televisiva Stranger Things, la pellicola di Nichols sembra volersi inserire nell’esiguo spazio fra l’aspetto nostalgico e citazionista. Esiguo, perché non sembra esserci margine di manovra per delle operazioni del genere, senza che la critica dispieghi tutto il suo odio. La critica, appunto, non lo spettatore. Il pubblico adora l’operazione nostalgia, mentre i critici, in questi casi, possono sfogare le loro represse frustrazioni quotidiane (si veda l’ultimo Star Wars). Certo ci sono eccezioni: si accennava poc’anzi a una delle serie televisive dell’anno. Allora, perché Midnight Special intriga così tanto? Banale a dirsi, ma non si tratta solo di un film di fantascienza nella filmografia del regista statunitense; non è una mera parentesi mainstream: è un’altra tappa della sua ricerca sulla psicologia umana e, dunque, sullo spettatore.

Un bambino si trova a metà strada fra due mondi, quello terrestre e un non precisato mondo alieno. La sofferenza di questo limbo, o purgatorio che dir si voglia, è tale da spingere il padre a trasportarlo per gli Stati Uniti, in fuga da una setta e dalla CIA.

Il regista studia la profondità dei rapporti umani nei loro momenti di difficoltà. La sua analisi si dirige sul non detto, su quegli abbozzi

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psicosomatici di tristezza, gioia e paura. I sentimenti non sono espressi, sono accennati e, come tali, autentici. Il punto forte dei suoi film è dunque la psicologia dei personaggi. In Shotgun Stories, Take Shelter e Mud, egli riesce a sviscerare la profondità umana. La seduta non avviene fisicamente in un luogo, ma nel film: anzi, è la pellicola stessa a svolgere il ruolo di terapeuta. Lo spettatore riconosce le proprie forze e debolezze nell’espressione di Michael Shannon. Chiarendo, vi sono più livelli psicologici nei film di Jeff Nichols. Il primo è diegetico: ogni personaggio racchiude qualcosa di sé al proprio interno, influenzando l’evolversi delle vicende. Il secondo avviene a metà strada fra lo spettatore e il personaggio: il primo si accorge che vi è del non detto nel secondo. Il terzo livello è tutto dalla parte del pubblico: esso riscontra un processo interno del tutto simile a quello creato da Nichols per la pellicola, poiché è in grado di porsi delle domande sul proprio sé.

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C’è qualcosa, inoltre che dà fastidio e che disturba la visione dello spettatore: un terzo e un quarto personaggio. Non si è semplicemente di fronte al classico, seppur qui maestoso, rapporto fra padre e figlio, perché vi sono altri due individui scomodi per il pubblico in sala. Il primo è la madre e il secondo l’amico del padre del bambino. A metà pellicola, sorprendentemente, compare Kristen Dunst nel ruolo della madre del piccolo Alton. Essa rompe l’equilibrio creatosi fra il padre e Alton, un’intimità unica e condivisa con lo spettatore. Di solito, un personaggio del genere, compare o a inizio pellicola o alla fine: nel primo caso è costretta a morire per lasciare spazio al duo maschile; nel secondo è il fine della peripezia. In Midnight Special compare a metà e funge d’aiuto per la fuga, così come l’amico del padre: Lucas. Durante tutta la pellicola ci si aspetta un suo tradimento: lo si vede tentennare, è dubbioso e preoccupato circa il risultato dell’operazione; lo spettatore pensa che lavori con il nemico. Quando tradirà il bambino e il pubblico? Mai.

Lo spettatore è frustrato, perché si è uscito dai suoi canoni. L’obiettivo non era salvare Alton, ma Alton stesso. Egli è l’equilibrio fra i mondi, quel punto di giuntura da scoprire in ogni film di Jeff Nichols, perché in ogni suo lavoro è presente.

 

Mattia