Yorgos Lanthimos: The Lobster

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YORGOS LANTHIMOS

The Lobster

(Grecia/Regno Unito 2015, 118 min., col., drammatico/surreale)

“Il punto di partenza non è stato quello di raccontare una storia, ma una situazione, una condizione che ho osservato. Perciò ho iniziato a esplorare quella situazione, quel sistema composto da tutte le cose che diamo per scontate: come le regole che rispettiamo e di cui non ci interroghiamo; il modo in cui veniamo educati…” (Y. Lanthimos, intervista rilasciata su Sight & Sound)

Nel corso di dieci anni di carriera e attraverso 3 lungometraggi, Yorgos Lanthimos è andato raffinando il proprio stile cinematografico, fondato sul grottesco e il surreale. Dopo i molti riconoscimenti internazionali, dopo aver praticamente lanciato (nel bene e nel male) un movimento – la cosiddetta New Wave Greca – e dopo essersi trasferito a Londra, era lecito aspettarsi un cambiamento. Lanthimos effettivamente sposta la sua base, effettivamente aumenta i suoi budget, effettivamente recluta famosi attori internazionali, ma porta con sè i suoi collaboratori greci e non arretra di un centimetro, dimostrando la massima coerenza nei confronti del proprio pensiero e delle proprie origini.

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L’approccio al materiale in The Lobster non dà infatti segni di alleggerimento o compromesso. Al contrario, spinge deliberatamente sulle contraddizioni, mescola intelligentemente comicità e inquietudine, e plasma un ennesima realtà distopica: La prima metà di The Lobster è ambientata in un hotel i cui ospiti devono trovare un/a compagno/a entro 45 giorni, dopo i quali altrimenti saranno trasformati in animali. In questa prima parte l’oggetto della satira sta, più che nel rapporto di coppia, nei modi in cui l’individuo e la coppia si adattano alla società. A Lanthimos (parole sue) non interessa approfondire un argomento specifico, come può essere l’istituzione del matrimonio, o piuttosto, il “dovere” imposto dalla società sull’individuo di trovare un/a compagno/a: non viene, nel film, spiegato perchè la società sia stata pianificata attraverso questa o quella istituzione; esattamente come in Kynodontas, non abbiamo idea del perchè si stabilisca un sistema totalitario all’interno della casa – c’è e basta. A Lanthimos, più in generale, interessa osservare, con una prassi che sta tra il divertito e lo scientifico, il ragionato e l’assurdo, le modalità nelle quali l’individuo cerca disperatamente di adattarsi a un sistema di regole create da lui stesso; era così per Kynodontas, era così per Alps, è ancora così per The Lobster.

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Facciamo un esempio. Una sera, gli ospiti assistono a una scenetta interpretata dallo staff dell’hotel. Un uomo mangia da solo, si strozza col cibo, muore. Poi, un uomo mangia con la compagna, si strozza, ma viene salvato dalla compagna effettuando la manovra di Heimlich. Il pubblico capisce il messaggio (stare da soli=morte), ma ciò che è sconvolgente è che nessuno si accorge dell’ovvietà con il quale viene espresso. Ecco, il mondo di The Lobster, e il mondo di Lanthimos, è un mondo governato da regole inspiegabili e spesso crudeli, abitato da persone che si adeguano alle convenzioni accettate senza porsi domande sul perchè queste regole esistono e sul perchè queste regole vadano rispettate.

Il modo in cui si genera la luce di una lampadina è quella di far passare corrente attraverso un filamento che fa da resistenza elettrica: nei film di Lanthimos la società viene apertamente svelata nel momento in cui un suo individuo gli oppone resistenza (ricordiamo i film clandestini di Kynodontas, e le cause-effetto che la ribellione generava): Il personaggio di Colin Farrell è il corrispettivo della protagonista di Kynodontas, che fa di tutto per adeguarsi alla prigione in cui vive. La differenza è che, in The Lobster, il protagonista riesce a scappare dalla prigione, ma non sa cosa lo attende al di fuori. E qui viene la seconda parte del film: il protagonista si unisce ai ribelli single il cui unico scopo è sabotare l’istituzione dell’hotel, i quali vengono sporadicamente catturati e uccisi dagli ospiti con vere e proprie sessioni di caccia all’uomo (in questo modo gli ospiti possono guadagnare giorni bonus in base al numero di single abbatuti). Questi ribelli sono però tutt’altro dall’essere persone “normali”: hanno anche loro un sistema di regole assolutamente inspiegabili e integraliste, non meno dell’hotel. Nella seconda parte, la resistenza è stavolta provocata dall’amore – illegale e crudelmente punibile, tra i single – tra il protagonista e una delle ribelli. Dulcis in fundo, il protagonista si ritrova quindi intrappolato nella medesima situazione di partenza. Qui sta l’ironia: c’è davvero scelta e differenza, tra fuori e dentro l’istituzione?

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Lanthimos approccia questa storia, o meglio, questa nuova folle osservazione, con un piglio più comico del solito, e con una regia meno rigorosa degli esordi, adottando i consueti piani fissi ma con tagli di inquadratura più convenzionali, e persino concedendosi qualche movimento di macchina. Il suo tipico distacco, che è poi quel distacco necessario a rivelare le forze reali che governano la società, tipico di tutta la New Wave greca (questo meriterebbe un discorso a parte, poichè per noi c’è il giusto e il cattivo distacco – vedi Avranas e il suo Miss Violence), più che dalla messa in scena, viene scandito da una serie di elementi: una voice over che invece di narrare, descrive freddamente ciò che stiamo vedendo; una musica drammatica, che però suona in momenti che non sono drammatici; agli attori, tutti bravi e famosi, vengono fatte recitare le battute come delle marionette; i climax vengono eliminati nelle scene in cui comunemente verrebbero costruiti, comportando così una soppressione preventiva dell’emotività proprio quando dovrebbe esplodere.

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Pur con qualche ripetizione di troppo e qualche lungaggine, Lanthimos riesce ancora una volta a centrare un concetto chiaro: non ce l’ha con gli esseri umani, non è pessimista a tutti i costi (come Trier, Seidl o Haneke), ma si prende gioco del sistema di regole umane quando sono fondate sul nulla e sull’insensatezza;con il valore aggiunto di smarcarsi da facili riferimenti sulla Grecia contemporanea estendendo la sua visione a confini ben più ampi e universali.

Stefano