Mostra del Cinema di Venezia: 2 Settembre
CONCORSO – Mario Martone: Il Giovane Favoloso
Il Giovane Favoloso
Stefano
ORIZZONTI – Benoit Delephine, Gustave Kervern: Near Death Experience
Morire senza morire. La prima esperienza di morte per il protagonista di Near Death Experience è un allontanamento da casa, dall’alcol e dalla routine quotidiana. Tentare di suicidarsi pare impossibile: ogni volta, sul più bello, è interrotto. L’unica soluzione è morire cambiando radicalmente. Lasciata la famiglia in tenuta ciclistica, il personaggio principale girovaga nella natura riflettendo sulle sue scelte, sui suoi errori e sulla sua famiglia. Diversamente da altri cineasti, il duo francese non si lancia in un ritorno alla natura o a un abbandono della società tout court. Il messaggio è altro: anche la natura fa schifo. Non è comoda. Insomma, diciamola tutta: è meglio il divano che sedersi sulle pietre. Ottimo film.
Mattia
FUORI CONCORSO – Manoel de Oliveira: O Velho do Restelo
L’equivalente di Redemption di Gomes per la Mostra dell’anno scorso, i 20 minuti di Manoel de Oliveira compongono quello che è forse il vero alieno del festival. Un film-fossile sulla natura lusitana, che richiede attenzione e una minima conoscenza della letteratura iberica per essere compreso (e su questo aspetto confesso la mia ignoranza), ma che emoziona per il solo modo in cui il maestro fa convogliare, scontrare e fluire le immagini di vecchi film, ombre e libri galleggianti una nell’altra, in un continuum che avvolge e ipnotizza (e su quest’altro aspetto confesso il mio amore nonostante tutto per il cinema di questo gigante di 105 anni: quelli che non conoscono il suo cinema si astengano, non lo capiranno…).
Stefano
FUORI CONCORSO – Davide Ferrario: La Zuppa del Demonio
La “zuppa del demonio” è la definizione che Dino Buzzati ha dato delle colate infuocate nelle acciaierie. Questo documentario è stato apprezzato moltissimo dal sottoscritto. Si tratta di un collage di pezzi del cinema industriale italiano, con frammenti di pubblicità che vanno dalla Fiat all’Olivetti, passando per il settore energetico (Eni, Edison), delle dighe, delle raffinerie (Gela) e delle acciaierie. Comincia con un giro spettrale all’interno di una ex-fabbrica trasformata in centro culturale, a testimoniare come si è passati dal mondo industriale al mondo informatico, dal materiale all’immateriale. Il tutto compone un affresco sull’idea di progresso del Novecento, sulla sua evoluzione, sull’orgoglio del lavoro, sul miraggio del benessere, sulla fiducia nella produzione, sull’entusiasmo del consumo. E’ un documentario organizzato come una pubblicità che ti incanta, che ti prende e non ti lascia andare, seducente come un canto di sirena.
Stefano
GIORNATE DEGLI AUTORI – Adityavikram Sengupta: Asha Jaoar Majhe
Piacevole sorpresa alle Giornate degli autori. La pellicola di Sengupta, opera prima, brilla come non mai in questa rassegna veneziana. Semplice, efficace e commovente. Il silenzio della pellicola dice più di qualsiasi dialogo e, questa volta, non è retorica. Azioni, gesti, silenzi, abitudini ripercorrano la vita quotidiana di marito e moglie, destinati a non vedersi in un paese che chiede troppo ai suoi lavoratori in tempo di crisi. Dettagli, rumori e suoni ritmano un montaggio maestoso, raggiungendo l’apogeo proprio nel finale chiarificatore. Lasciativi strabiliare dalla fotografia di Labour of Love.
Mattia
ORIZZONTI – Duane Hopkins: Bypass
Presentato a Orizzonti, Bypass è un film intrinsecamente brutto. La vicenda: solita storia di periferia già sentita, già vista, prevedibile in ogni suo momento. La messa in scena: imposta, confusa, forzata. La fotografia: instabile nella messa in quadro, con dettagli a profusione proprio dove c’è bisogno di chiarezza (campi medi? dove siete?), un ostentato impiego della focale lunga per cercare l’effetto patinato elegante, per cui ciò che doveva essere a fuoco non lo è o ci mette diversi secondi a diventarlo, un utilizzo smodato di luce innaturale “divina” che non si capisce come possa esistere in grigie zone urbane dove quella luce non interviene neanche per grazia di Dio. Di quei film che devono essere artistici a tutti i costi. No, grazie.
Stefano
CONCORSO – Shinya Tsukamoto: Nobi
Film di genere. Troppo di genere per essere da noi apprezzato. Lo stile è cento per cento Tsukamoto: idolo punk e underground giapponese con il suo famosissimo Tetsuo. In Nobi si rivedono gli stessi movimenti di macchina molto nervosi, una serie di piani differenti ma dal medesimo punto di vista e musica elettro-punk. Nella guerra fra uomini c’è di mezzo lo splatter e la natura: spruzzi di sangue continuo, mischiati a parti anatomiche svolazzanti, insozzano una natura terrificante e angosciante. L’isola è una trappola, il film pure.
Mattia