David Lynch: Il commercial per Dior con Marilon Cotillard

Mi era scandalosamente sfuggito questo commercial diretto da Lynch per Dior (2010). Rimedio pubblicandolo ora con qualche umile osservazione.

Premesso che definirlo commercial è un pò riduttivo, per la durata mastodontica (15 minuti) e per la difficoltà di visione (ma non di interpretazione, stavolta) dovuta al fatto che nessuno sano di mente lo manderebbe in onda per intero, quello per Dior è un cortometraggio a tutti gli effetti e una ulteriore testimonianza della “poetica” del Nostro. Il regista non dirige un lungometraggio dal 2006, poichè è lampante il fatto che Inland Empire abbia concluso idealmente ogni discorso: oltre non si può andare. Come al solito, la piccola opera riempirà di gioia i sostenitori e farà sbuffare i detrattori con la stessa spontaneità dei suoi lungometraggi.

Anche se il soggetto è piuttosto scontato (la rievocazione di una vita precedente) il commercial risente appieno dello stile quasi amatoriale (primeggia una tremolante videocamera a mano) di Inland Empire, con quel senso di logica irrazionale, senza però i paradossi spazio-temporali tanto cari al regista, che qui preferisce una “trama” lineare e di facile fruizione (che cavolo, è pur sempre uno spot!). Nella prima parte una meravigliosa e sperduta Marilon Cotillard entra in un lussuoso albergo di Shanghai. Soliti interni onirici e misteriosi, solite luci rarefatte con lampi allucinogeni a intermittenza, soliti tipi loschi vestiti come gangsters. Nella seconda parte, la rievocazione vera e propria è ottenuta con una ripresa che potrebbe (anzi, probabilmente, è) essere stata girata con otturatore aperto, aspetto che può essere fastidioso o invitante a seconda dei punti di vista.

Bisogna aspettare la fine per apprezzare a pieno la classe formidabile del regista, che sorprende finalmente dopo 14 minuti di massiccia autoreferenzialità . Lynch ha sempre dato un valore altamente simbolico agli oggetti nei suoi film, compiendo dunque anche qui il suo dovere nei confronti del prodotto commercializzato: lo esalta misticamente. La borsa è una macchina del tempo (o multi-dimensionale, veicolo per un mondo “oltre” in cui la protagonista ha vissuto un’altra realtà), custodisce ricordi perduti o sogni impossibili, è investita di un potere divino tanto da brillare di luce propria.

Stefano Uboldi