Mostra del Cinema di Venezia: 8 Settembre


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ORIZZONTI – Rick Ostermann: Krieg (Germania)

Krieg è la storia di Arnold Stein che, alla ricerca della pace personale, decide di andare a vivere in una baita isolata di montagna. La pace viene bruscamente interrotta da uno sconosciuto che comincia a terrorizzarlo e lo trascina in una guerra dei nervi. (dal sito della Biennale di Venezia)

La sinossi del film trae facilmente in inganno: ci aspettavamo un thriller e ci siamo ritrovati a vedere un dramma sulla guerra, purtroppo non particolarmente esaltante. La pellicola si muove su due linee narrative: una che si svolge nel passato incentrata sulla partenza del figlio del protagonista per la guerra in Iraq, e una che si svolge nel presente, incentrata sui momenti in montagna del protagonista e della comparsa del misterioso disturbatore. La tesi del film è che la guerra è inutile. Se la prima linea narrativa è toccante e convincente, la seconda non riesce a mantenere le promesse, e invece di aumentare, la tensione si scarica.

 


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SETTIMANA DELLA CRITICA – Helena Wittmann: Drift (Germania)

Due donne trascorrono un weekend sul mare del Nord. Una delle due tornerà presto dalla famiglia in Argentina, mentre l’altra cercherà di avvicinarsi all’Oceano. A bordo di una barca a vela, attraversa l’Atlantico. (dal sito della Settimana della Critica)

Che il cinema possa essere una pura esperienza ipnotica ce lo ricorda Helena Wittmann. In un anno in cui la sezione Orizzonti ha offerto film assai convenzionali, la Settimana della Critica propone cose interessantissime e al limite. Drift, il film più esteticamente radicale di questa Mostra (insieme all’altro SIC, Les Garcons Sauvages) sembra appartenere al cinema contemplativo; è un film che sembra voler cullare lo spettatore, liquido e onirico. Mi affascina come ad un inizio (relativamente) tradizionale segua una parte centrale (nella quale la donna attraversa l’Atlantico) in cui la linearità va alla deriva, il tempo si dilata e il mare sembra prendere il controllo sul racconto. Ecco, nel bene e nel male (a seconda della pazienza dello spettatore: parliamo di una buona mezzora di immagini con sole onde), un’opera che non lascia indifferenti e che indaga fino a dove si possono spingere il “dove” e il “quando” al cinema.

 


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CONCORSO – Xavier Legrand: Jusqu’à La Garde (Francia)

Myriam e Antoine Besson hanno divorziato, e Myriam cerca di ottenere l’affido esclusivo del figlio Julien per proteggerlo da un padre che ritiene violento. Antoine perora la propria causa di padre disprezzato e il giudice assegnato al caso decide per l’affido congiunto. Vittima del conflitto sempre più esacerbato tra i suoi genitori, Julien viene spinto al limite per evitare che accada il peggio. (dal sito della Biennale di Venezia)

L’esordio di Xavier Legrand lascia ben sperare. A differenza del sopracitato Krieg, viene mantenuto un equilibrio perfetto tra dramma e thriller. Il film inizia con una lunga e verbosa sequenza in una sala giudiziaria. Al centro della contesa c’è la custodia del figlio, naturalmente principale vittima del film. Mano a mano che passano i minuti, il film accelera diventando sempre più fisico e immediato. L’ottimo attore protagonista Antoine (l’avevamo già visto in Bastardi Senza Gloria) riesce a conferire una certa ambiguità al suo personaggio, sempre sul filo del rasoio, sospeso tra calma ed esplosioni di violenza. Legrand non scade mai negli psicologismi nè nei clichè della critica sociale.

 


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FUORI CONCORSO – John Woo: Zhuibu/Manhunt (Cina/Hong Kong)

Zhuibu racconta dell’onesto avvocato Du Qiu, che è costretto a seguire un caso di omicidio finché le prove raccolte indicano lui come il responsabile. Sapendo di essere stato incastrato da Luo Zhi, Du Qiu fugge per scoprire la verità. La polizia inizia una gigantesca caccia all’uomo, ma l’esperto detective Yamura si rende conto che questo caso apparentemente già chiuso non è affatto così semplice. (dal sito della Biennale di Venezia)

Le solite grandi scene d’azione, le solite colombe che volano al ralenty, e una storia che passa tranquillamente in secondo piano. Un film di John Woo va visto a priori per il semplice piacere della visione, specie se viene proiettato in sala Darsena con uno schermo enorme e un impianto audio stupefacente.

Stefano