Mostra del Cinema di Venezia: 6-7 Settembre


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FUORI CONCORSO – Francois Troukens: Tueurs (Belgio)

Frank Valken, un ambizioso rapinatore, ha appena messo a segno il suo ultimo colpo perfetto. Almeno, questo è quello che pensa. Essendo i sospetti ideali, Valken e la sua banda si ritrovano coinvolti in un’indagine che ha avuto inizio trent’anni prima. Sembra che i pazzi assassini siano tornati… (dal sito della Biennale di Venezia)

Un pregevole film di genere belga che prova a far riemergere un capitolo oscuro della storia contemporanea del Belgio, che ha vissuto anch’essa la strategia della tensione e i propri anni di piombo. Le scene dei conflitti a fuoco sono in particolare molto ben coordinate e brutali, ricordano molto l’azione dei film di Michael Mann. In appena 80 minuti c’è però troppa carne al fuoco: rapine, omicidi, evasioni e complotti sventati. Gli eventi si susseguono un pò troppo frettolosamente e meccanicamente.

 


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FUORI CONCORSO – Chris Smith: Jim & Andy The Great Beyond (USA)

Nel 1999 Milos Forman fa interpretare a Jim Carrey la parte di Andy Kaufman nel film biografico Man on the Moon. Ne risultò una produzione estremamente insolita ed emozionante. Circondato sul set dagli amici e dai familiari di Kaufman, Carrey “divenne” pienamente Andy e, alternativamente, Tony Clifton, lo sgradevole cantante di piano bar, alter ego di Kaufman. (dal sito della Biennale di Venezia)

Il documentario sulla produzione di Man On The Moon, incentrato sulla vita del comico Andy Kaufman, dà una inaspettata stretta al cuore. Tutti coloro che hanno visto il film di Milos Forman conoscono l’interpretazione di Jim Carrey, ma pochi sanno che Carrey “divenne” Kaufman anche fuori dal set. Quello che nasce come un confessionale di Carrey diventa una toccante riflessione sull’identità.

 


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CONCORSO – Vivian Qu: Angels Wear White (Cina)

In una cittadina di mare, due studentesse vengono assalite in un motel da un uomo di mezza età. Mia, un’adolescente che quella notte lavorava alla reception, è l’unica testimone. Per paura di perdere il lavoro, non dice nulla. Nel frattempo la dodicenne Wen, una delle vittime, scopre che i suoi guai sono appena cominciati. Intrappolate in un mondo che non dà loro scampo, Mia e Wen dovranno trovare da sole una via d’uscita. (dal sito della Biennale di Venezia)

Ritroviamo Vivian Qu dopo averla conosciuta anni fa alla Settimana della Critica. Trap Street era un esordio intrigante ma sembrava ancora un film acerbo. Il merito della Qu è di saper rappresentare vicende scabrose con onestà e leggerezza, senza però essere superficiale; questo a costo però di “appiattire” la messa in scena fino al punto di privarla di quello slancio necessario a dare incisività alla vicenda. Purtroppo avvertiamo che poco è cambiato da allora: anche Angels Wear White propone idee interessanti, ma è così cinematograficamente “frenato” che rimane poco o nulla dopo la visione.  Peccato.

 


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CONCORSO – Abdellatif Kechiche: Mektoub, My Love Canto Uno (Francia/Tunisia)

Amin, un aspirante sceneggiatore che vive a Parigi, ritorna per l’estate nella sua città natale, una comunità di pescatori nel sud della Francia. È l’occasione per ritrovare la famiglia e gli amici d’infanzia. Accompagnato da suo cugino Tony e dalla sua migliore amica Ophélie, Amin passa il suo tempo tra il ristorante di specialità tunisine dei suoi genitori, i bar del quartiere e la spiaggia frequentata dalle ragazze in vacanza. Incantato dalle numerose figure femminili che lo circondano, Amin resta soggiogato da queste sirene estive, all’opposto del suo dionisiaco cugino che si getta senza remore nell’euforia dei loro corpi. (dal sito della Biennale di Venezia)

Mektoub è, come afferma Kechiche, un inno alla vita, al corpo e al nutrimento. Un film in cui in praticamente ogni inquadratura possiede vitalità e potenziale erotico. Come sempre quello di Kechiche è un cinema che, paradossalmente, arriva all’essenza attraverso l’esaltazione della superficie delle cose (soprattutto forme femminili e cibo); un cinema che rivela i suoi personaggi, ognuno con i propri desideri e illusioni, passando dalla pelle e non dalle parole. Dopo un film dal titolo La Vita di Adele, che stupì e divise (parzialmente) i due gestori di questo sito, il regista tunisino torna con un film che potrebbe tranquillamente avere come titolo “L’educazione sentimentale di Amin”: Il protagonista infatti potrebbe essere un giovane Kechiche, ex studente di medicina e aspirante fotografo (cineasta?) alle prime armi, incantato dalle figure femminili che lo circondano durante una vacanza al mare. Amin assume il ruolo di alter ego di Kechiche, è l’osservatore un pò rigoroso e un pò voyeur, che da una parte vorrebbe gettarsi tra di loro, e dall’altra si trova in perenne ricerca di qualcos’altro, di un “oltre” che trascende il corpo e il desiderio. Tra un bagno in spiaggia e un ballo in discoteca, Amin aspetta un intero pomeriggio per fotografare il parto di una pecora. Così quello di Kechiche, che è un film fatto di niente e che essenzialmente non parla di nient’altro che una vacanza al mare, si fa progressivamente film libero e quasi “sacro”.

 


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ORIZZONTI – Sofia Djama: Les Bienhereux (Algeria)

Algeri, pochi anni dopo la fine della guerra civile. Amal e Samir hanno deciso di festeggiare il loro ventesimo anniversario di matrimonio in un ristorante. Durante il tragitto, si scambiano le proprie impressioni sull’Algeria: Amal parla delle illusioni perdute, mentre Samir della necessità di superarle. Nel frattempo, il loro figlio Fahim e i suoi amici Feriel e Reda si aggirano in un’Algeri ostile, pronta a rubare la loro giovinezza. (dal sito della Biennale di Venezia)

Ottimo esordio alla regia della giovane algerina Sofia Djama. Nonostante i molti personaggi di un film a carattere corale, la pellicola sembra avere come protagonista la stessa città di Algeri, nel suo infinito dedalo di vie e vicoli. Il film parla di un confronto/scontro generazionale, in un curioso ribaltamento: i genitori progressisti e disillusi, in bilico tra rimanere e scappare da un paese apparentemente senza speranza di cambiamento, e i figli paradossalmente attratti dalla tradizione islamica, seppur confusa e contaminata dalle mode moderne. Un film articolato e problematico che non scade mai nel didascalismo.

 Stefano