Dan Gilroy: Lo Sciacallo

50348

DAN GILROY

Lo Sciacallo

(Usa 2014, 117 min., thriller)

Notevole l’esordio di Dan Gilroy, sceneggiatore passato alla regia. Il suo Lo Sciacallo è un thriller forte per ritmo e forma. L’opera, che già di suo è ricca di spunti teorici, trova il maggior punto di interesse ruotando intorno al personaggio interpretato da Jake Gyllenhall, Louis Bloom: un villain efficace come non se ne vedeva da tempo. Un personaggio leggibile su diversi livelli: dal più superficiale, quello di anti-eroe in un mondo nel quale ormai l’immagine vince sulla verità; attraverso uno intermedio, come incarnazione dei non-valori dell’America contemporanea; fino, a un livello più profondo, di un farabutto inventatosi regista, inteso come manipolatore di immagini.

Bloom è uno psicotico con una brillante parlantina e una significativa capacità nell’imparare alla svelta, e con una smodata ambizione mirata a trovare un mestiere proficuo che gli consenta di sovrastare gli altri. Fondamentalmente è un ladro che trova il suo mestiere nel mondo dello spettacolo morboso, come “sciacallo”: vende infatti riprese di corpi insanguinati e incidenti stradali alle TV locali. E’ interessante come Bloom si inserisca in questo contesto come un rettile, un parassita o meglio un alieno; ogni riferimento al suo passato viene intenzionalmente lasciato fuori dalla storia, ed è come un essere cascato sulla terra desideroso di imparare le regole del gioco, con un espressione del viso perennemente ad occhi sbarrati, come volto ad assimilare più informazioni possibili (nel fare lo psicopatico Jake Gyllenhall ha sempre dimostrato una certa destrezza).

nightcrawler-7

La sua educazione/formazione è del tutto basata sull’esperienza; impara le cose a memoria, spesso senza magari sapere esattamente cosa significhino: è un enciclopedia vivente di manuali per l’automiglioramento. La sua scuola è la strada, internet, le persone che cerca di fregare. Il suo obiettivo è il Sogno Americano, anche se ovviamente una versione del Sogno Americano agghiacciante. Da ciò si capisce che Bloom è un simbolo, mostruoso, della società che Gilroy dipinge: una società i cui principi morali sono stati erosi da internet e reality TV, in cui informazione d’ogni tipo è alla mercè di tutti senza alcuna corrispondente saggezza o responsabilità. In questa società uno come Bloom prospera e ha successo, perchè quelli come Bloom sono richiesti e premiati. Ma, aldilà della società della logica dello spettacolo (siamo a Los Angeles: le immagini di una famiglia massacrata sono montate in modo che i telespettatori siano portati a sentirsi in pericolo; e a nessuno importa spiegar loro le ragioni dietro alle efferatezze) e aldilà della logica della sopraffazione e dell’expand or die (siamo negli Stati Uniti, e la logica di Bloom è, a grandi linee, quella del mercato finanziario), l’aspetto più intrigante è la crescente capacità di Bloom di “usare” il mezzo mdp. Se all’inizio la mdp è una videocamera, cioè uno strumento che registra semplicemente la realtà, in cui la differenza tra una “buona” registrazione e una “cattiva” sta nell’oggetto ripreso, che siano omicidi efferati o incidenti brutali, in seguito Bloom si rende conto, progressivamente, delle capacità della mdp come mezzo cinematografico: diventa un regista che non ha, forse (per ora..!), controllo su ciò che riprende, ma che certo sviluppa una certa abilità nel riprendere certe cose rispetto ad altre, a scegliere certe angolazioni rispetto ad altre, a prediligere un certo tipo di narrazione, a prevedere un certo montaggio in post-produzione.

????????????

Gilroy, dal mestiere di sceneggiatore ha derivato una capacità nel mantenere costante velocità e tensione, come dimostrano le frequenti sequenze di inseguimenti notturni, oppure dal climax finale, in stile De Palma, in cui Bloom “mette in scena” il suo capolavoro di violenza reale. La fotografia digitale, notturna (a parte alcune scene, tutto il film sembra girato di notte) aiuta moltissimo in questo senso. Per quanto ben realizzato però, Lo Sciacallo non approfondisce e non apre di molto al di là delle possibilità sfruttabili che incontra (commedia nera? satira? psicologico?), e la critica mossa contro il sistema suona un pò “di grana grossa”, molto, un pò troppo, esplicita; alcune situazioni e comportamenti sono sembrate dal nostro punto di vista, ben poco plausibili. Quel che rimane, proprio la parte lasciata “tra le righe”, cioè la riflessione sul mezzo cinematografico, e un senso di agghiacciante consapevolezza: c’è da aver di che temere.

Stefano