Mostra del Cinema di Venezia: 31 Agosto


invisible

ORIZZONTI – Pablo Giorgelli: Invisible (Argentina)

La categoria di film incentrati sul “disagio sociale” spesso non rientra nei nostri gusti, a meno che non ci sia un’idea, una peculiarità o uno slancio cinematografico, una di quelle cose insomma che il cineuforico si aspetterebbe di ritrovare in un film della sezione Orizzonti (che sarebbe rivolta alla scoperta di nuove tendenze estetiche). Non c’è traccia di alcuna particolare tendenza estetica in Invisible. Ambientato nei sobborghi di Buenos Aires, il regista segue con la macchina da presa una ragazza alle prese con una gravidanza indesiderata. In sottofondo, il dramma sociale del default argentino, attraverso alcune tipiche imbeccate che in questi film cercano di incollare ad una vicenda privata una valenza collettiva: spezzoni di interventi alla radio e letture scolastiche rivelano un dramma collettivo. Tutto è pregevole e “da festival”, non c’è niente fuori posto, il film è costruito per smuovere lo spettatore. Che però, a fine film, ha già dimenticato il film e passa ad un’altra sala.

 


West-of-Sunshine

ORIZZONTI – Jason Raftopoulos: West of Sunshine (Australia)

Dalla padella alla brace, si suol dire: non c’è un briciolo di qualità in West of Sunshine, film veramente atroce, un pasticcio sotto ogni aspetto, dai dialoghi alle interpretazioni, dalla regia alla musica, colmo di situazioni irreali e involontariamente ridicole, una letterale schifezza per la quale non mi sento nemmeno di sprecare ulteriore spazio di questo post.

 

 


ethan-hawke-in-first-reformed

CONCORSO – Paul Schrader: First Reformed (USA)

Chi fa più film come Paul Schrader? Cioè film di rigore formale senza compromessi, che inseguono ambizioni vertiginose fregandosene platealmente di pubblico e critica? Così come The Canyons fu fischiato in sala grande, anche First Reformed ha diviso. Mentre The Canyons rimaneva (forse) un capolavoro al solo stadio teorico, con First Reformed Schrader raggiunge, o almeno si avvicina, a raggiungere (o toccare? diciamo a “tendere tangenzialmente a”) vertici altissimi che fanno eco ai modelli che il regista statunitense ha studiato e inseguito per tutta la sua carriera: Bresson, Ozu e Dreyer, gli alfieri della “trascendenza nel cinema”. Ma ci sono anche risonanze col contemporaneo Bruno Dumont. E’ una specie di celebrazione del vuoto First Reformed, film articolato e affascinantissimo che ancora adesso mi rimbalza in mente attraverso alcuni dei suoi momenti più ossessivi e onirici, incorniciati (intrappolati) in un rapporto di schermo 1.37:1. Il senso dello spazio è ciò che distingue un vero regista. Un nichilismo e un dolore implacabili soffocano il film come una cappa di smog (complice una fotografia da pelle d’oca, che rispecchia gli stati emotivi con un’alternanza allucinata di cambiamenti cromatici) schiacciandolo per tutta la sua durata, per poi infine esplodere negli ultimi minuti con una sequenza che rimette tutto in discussione, e quel nichilismo e dolore accumulati per 100 minuti si contraggono in un vortice di superba bellezza. Viene detto nel film: Ci vuole coraggio, non razionalità. Film da lasciare in sospensione (levitazione?) e da rivedere.


the-shape-of-water-sally-hawkins

CONCORSO – Guillermo del Toro: The Shape of Water (USA)

Bella favola di Guillermo del Toro: la storia d’amore tra una ragazza muta e una strana creatura che ricorda il mostro anfibio delle paludi di un vecchio film di fantascienza (perdonatemi se non vado a pescare il nome). Riflessione sulla figura del mostro e del freak in un contesto ipocrita e livellato come l’America degli anni ’60. Niente di nuovo, ma realizzato con cura superba e un amore sincero per i suoi personaggi.

 

Stefano