Mostra del Cinema di Venezia: 3 Settembre


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ORIZZONTI – Raul Arevalo: Tarde Para La Ira (Spagna)

La vendetta e le ragioni e contraddizioni morali che essa comporta sembrano dominare questa edizione della Mostra. Lo conferma l’esordio dell’attore spagnolo Raul Arevalo, che confeziona 90 minuti di pura tensione elettrica cinematografica. Un altro aspetto che caratterizza questo film e che lo accomuna con altri film della Mostra (Barbera lo disse esplicitamente presentando la lineup quest’anno) è il tentativo di unire cinema di genere e cinema “sociale”. In questo senso, Tarde Para La Ira possiede sia le caratteristiche del genere che tengono incollati alla sedia gli spettatori, sia una certa profondità di sguardo in grado di cogliere con naturalezza un certo strato della popolazione spagnola.

 


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FUORI CONCORSO – Philippe Falardou: The Bleeder (USA)

Basse le aspettative per questo biopic sul campione di boxe che ispirò la figura di Rocky Balboa. Chuck Wepner è un pugile la cui particolare abilità non è colpire, ma incassare bene (viene chiamato “The Bleeder”, il “sanguinolento”) e viene chiamato a lottare (in realtà, resistere) contro l’allora campione del mondo Muhammed Alì. L’evento ispirò il famoso incontro tra Rocky e Apollo Creed. In realtà si tratta di un buon film, almeno nella prima parte. Nella seconda inizia la classica e prevedibile caduta nel vizio (cocaina, feste ecc.) tipica dei biopic americani, con redenzione – carceraria – finale. Ci sono poi troppi stereotipi del cinema anni ’70 (una certa fotografia , musica disco a profusione ecc.) che sembrano ormai indispensabili se si vuol fare un film ambientato in quegli anni…

 


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FUORI CONCORSO – Kim Jee-Woon: Miljeong The Age of Shadows (Corea del Sud)

L’ultimo film di Kim Jee-Woon è grandioso. Il film percorre la lotta di liberazione di un gruppo di resistenza coreana durante il dominio giapponese. Con Miljeong sul Lido rivive il noir, ma ambientato nelle strade di Shanghai e di Seoul degli anni ’20: la sensazione è insieme familiare (il genere) e disorientante (per un pubblico occidentale che ha poca familiarità con quella storia e quei luoghi). Kim Jee-Woon è regista formidabile: nella prima ora anestetizza lo spettatore in un gioco di specchi, con mosse e contromosse, con compratori d’arte ed esperti d’esplosivi ungheresi, belle donne e agenti corrotti. Poi, tutto esplode e diventa paradossalmente chiaro nel caos della violenza, dalla parola all’azione. Un’azione elegantissima e formalmente impeccabile: gli action movie americani hanno molto da imparare. I suoi personaggi, poi, da macchiette prese in prestito da clichè noir acquisiscono complessità e profondità, prendiamo confidenza con le loro strategie, cominciamo a temere per loro, non più pedine della scacchiera ma uomini e donne in carne e ossa (e sangue, tanto sangue). E di nuovo, tutto cambia: da articolato film storico ad esplosivo film d’azione, diventa un film sull’identità e sul recupero di essa. Applausi.

 


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CONCORSO – Francois Ozon: Frantz (Francia)

Nel primo dopoguerra la Germania piange i suoi caduti sul fronte. Due genitori hanno perso il figlio Frantz, e accolgono come una figlia la sua promessa sposa, Anna. Un giorno Anna scorge un ragazzo portare dei fiori sulla tomba del fidanzato: è un francese ed afferma di essere stato amico del figlio durante la sua permanenza a Parigi prima della guerra. Niente, come spesso accade nei film di Ozon, è come sembra. Anche questa volta, il regista francese confeziona un film di grande raffinatezza e intelligenza. Ozon gira il film in bianco e nero che colora per brevi intensi momenti di serenità, e in questo modo fa risaltare i colori al massimo dell’espressività: vorresti che non scomparissero e invece vengono spenti bruscamente, quasi sadicamente, al soccombere dell’illusione (la brutalità della verità/realtà). Allo stesso tempo, Ozon come sempre gioca con lo spettatore, facendogli prendere strade sbagliate (è una storia di omosessualità o di senso di colpa? E’ meglio il conforto della bugia, o lo sconforto della verità?), scombina e incrocia i sentimenti e i desideri dei suoi personaggi. L’impressione è che Ozon disperda però quella ambiguità e irruenza che ci hanno fatto amare i suoi lavori (puntualmente uno più brillante dell’altro, per citare gli ultimi: Dans La Maison, Jeune et Julie, Une Nouvelle Amie) in favore di maggiore serietà ed equilibrio. Un regista, finalmente, posato e pronto a piacere a tutti? Speriamo di no.

Stefano