72 Mostra del Cinema di Venezia: 3 Settembre

ORIZZONTI – Rodrigo Plà: Un Monstruo de Mil Cabesas (Messico)

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Il film d’apertura della sezione Orizzonti è senz’altro degno di nota: per rigore e senso della forma, il (già conosciuto al Lido) Rodrigo Pla ambirebbe a suo modo ad essere un Haneke messicano. Il regista realizza un film contenutisticamente già battuto, ma pregevole nell’estetica e nello sviluppo. Ci troviamo infatti di fronte a qualcosa che già abbiamo visto, spesso e in altre regioni: una vendetta scaturita da ingiustizie apparentemente burocratiche, in realtà provocate dalla corruzione sistemica e dall’indifferenza tra le classi sociali (ricchi medici/assicuratori contro gente comune). Eppure, è un film ambiguo quanto basta, con momenti di grottesco messi a segno con naturalezza; la narrazione, pur restando fermamente lineare, prende vie articolate: il film è infatti costruito come la rappresentazione di un resoconto d’interrogatorio, con slittamento continuo dei punti di vista dei testimoni. Prevalgono piani fissi e un utilizzo intelligente (anche se ripetitivo alla lunga) del fuori-fuoco, spesso all’incontrario del suo utilizzo comune: i particolari più importanti vengono oscurati, mentre quelli secondari messi in luce (effetto di disorientamento). Appena 75 minuti, che però non lasciano tregua e lasciano ben sperare in una sezione che, com’è sua ragione d’essere, dovrebbe lanciare film di questo tipo, freschi e obliqui.

 

FUORI CONCORSO – Thomas McCarty: Spotlight (USA)

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Ben più ancorato alla convenzionalità da classico film impegnato hollywoodiano è questo gradevole seppur interminabile resoconto passo-dopo-passo dell’inchiesta che nel 2002 portò alla luce le decine di abusi perpetrati da preti pedofili nella sola città di Boston, indagine compiuta da un affiatato team di giornalisti investigativi. Tutto molto descrittivo, tutto ben curato, tutto perfettamente chiaro e cristallino. Per fortuna sobrio e asciutto, anche se le immancabili scene madri non mancano. Film con una regia così piatta che potrebbe avere ottime possibilità ai prossimi Academy. Da consigliare a chi vuol saperne di più sull’argomento, godendo delle buone interpretazioni di Mark Ruffalo e Michael Keaton.

Noi passiamo oltre.

 

 

CONCORSO – Sue Brooks: Looking for Grace (Australia)

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E’ un film bizzarro quello di Sue Brooks, e nei primi minuti promette anche bene. Una storia semplice: una ragazza scappa di casa rubando dei soldi dai genitori, questi la vanno a cercare, e la trovano. Il film finirebbe qui, ma l’intento è un altro: ri-vedere questa storia da ogni prospettiva, spostando il baricentro narrativo su ogni personaggio (con tanto di didascalia: la giornata di…la giornata di…ecc.), operando salti temporali e intercettando gli incroci narrativi che si vengono a creare tra le varie sotto-storie e i vari sotto-personaggi. Peccato che si siano troppe sotto-storie e soprattutto, troppi sotto-personaggi inutili attorno a una trama (e una sostanza..) così esile. Perciò, alla lunga Il film, pur scorrendo leggero, sembra non andare a parare da nessuna parte: all’inizio è una sensazione, anche piuttosto stimolante, di indefinitezza, peccato che poi essa diventi una conferma di vaghezza di fondo, che non diverte più. Un film di sottile umorismo con (ma va?) una punto d’amaro alla fine. I dialoghi hanno sfumature ironiche con un tocco di non-sense che faranno contenti gli esegeti in cerca costante di significati nascosti; sembra piuttosto un pretesto per rendere il tutto un pò più interessante e “alternativo”. Per un pò sembra di avere di fronte un film quasi inclassificabile. Ma rimane un film che non osa mai, che non decolla mai, sospeso tra tentazione sperimentale e ansia di emozionare (cioè: accontentare) il pubblico. Un film che poteva anche figurare bene alle sezioni collaterali (Giornate degli Autori o Settimana della Critica), che poteva magari anche stare in Orizzonti, ma che in concorso…mistero.

 

CONCORSO – Cary Fukanaga: Beasts of No Nation (USA)

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Fukanaga lascia alle spalle la filosofia del primo True Detective e passa all’azione. Ha fatto bene. In una puntata della celebre serie, c’è una sparatoria che il regista  mette in scena scegliendo un impressionante, lunghissimo, piano sequenza. La stessa vorticosa tecnica registica, è stavolta dedicata a rappresentare la guerriglia tra improbabili e instabili fazioni politiche in Nigeria. Dalla prima all’ultima immagine, trapela un gusto dello stile estremo, così curato da sembrare spesso schiacciare la materia rappresentata; La critica ha infatti rimproverato al regista, e non del tutto a torto, una mancanza di sensibilità nei confronti di una materia troppo delicata. In altre parole, Fukanaga, è un talento dell'”azione” più che del “significato” che, se guardiamo bene in questo film, è pure abbastanza retorico (il bambino che diventa uomo, l’assurdità della guerra ecc.). Però, che stile. A parte i movimenti di macchina, che sono indubbiamente spettacolari, il regista riesce, con netti giochi di luce e un utilizzo straordinario della tavolozza cromatica, a ricreare stati vicini all’allucinazione (in questo caso provocati dalla droga), nel fotografare luoghi e rituali magici (ricordate “Carcosa” in True Detective? immaginate qui cosa può diventare, nei suoi occhi, la giunga africana), che fanno tornare alla memoria i momenti più lisergici di Apocalypse Now. Forse avrà scelto il soggetto sbagliato, ma ciò non intacca minimamente la certezza che abbiamo delle capacità di questo regista.

Stefano