Wes Anderson: The Grand Budapest Hotel

Ogni volta che una pellicola di Wes Anderson esce nelle sale cinematografiche, timori e aspettative invadono la mia mente. I lettori più assidui de I Cineuforici, ma in realtà anche quelli meno costanti, sanno quanto apprezziamo il lavoro del regista texano. Da qui, l’ansia per ogni sua nuova uscita. Il rischio, infatti, con un’estetica così marcata e autoriale è la perdita di rinnovamento.

Martin Scorsese: The Wolf of Wall Street

L’ultimo film di Scorsese si riallaccia direttamente ad altri suoi film, e si potrebbe dire anzi che rifà, con tocchi e umori diversi, le sue opere maestre Toro Scatenato, Quei Bravi Ragazzi e Casinò, e una quarta opera minore ma non meno significativa, The Aviator. Il soggetto è lo stesso: la parabola di un uomo che vuole avere tutto e cade rovinosamente. Ma Toro Scatenato è del 1980, Casinò del 1995, e The Aviator del 2004; e in questo decennio The Wolf of Wall Street rappresenta più che un aggiornamento, un cambiamento di rotta nello stile di rappresentazione del regista; laddove i primi tre erano aggressivi, insolenti, pervasi di una violenza improvvisa, esplosa in luoghi oscuri, malavitosi, e il quarto forte al contrario di un atmosfera onirica, nostalgica e claustrofobica, The Wolf of Wall Street assume invece i connotati della commedia sociale.

Stephen Frears: Philomena

Philomena è un bel film. Semplice e intelligente, emozionante e composto: è un film inattaccabile.

90 minuti di perfetto equilibrio di scrittura, regia e interpretazione e non ci sarebbe da aggiungere altro. Una scrittura, pura british wit, di battute misurate col calibro, e un modo di affrontare temi delicati (religione, maternità, omosessualità) senza alcuna pedanteria o moralismo, con tono leggero e brillante

Wes Anderson: Castello Cavalcanti

Presentato in anteprima all’ultimo Festival di Roma, Castello Cavalcanti è l’ultimo cortometraggio di Wes Anderson, prodotto da Roman Coppola per conto di Prada (dopo la serie pubblicitaria per il profumo Candy), interpretato da Jason Schwartzman e girato negli studi di Cinecittà.

Hong Sang-soo: In Another Country

Per quel che si potrebbe chiamare un miracolo, quest’anno è uscito per la prima volta nelle (4 o 5) sale italiane un film di Hong Sang-soo, il regista coreano più “europeo”; i suoi film, in equilibrio tra nostalgia e sperimentazione, sembrano essere una commistione di Truffaut, Resnais ed Allen.

Francois Ozon: Nella Casa

Con il suo ultimo film Francois Ozon si è imposto agli occhi di tutti come il regista e Autore di prim’ordine che è, una pietra angolare del (relativamente) nuovo cinema francese, sempre intelligente e prolifico, tanto prolifico che mentre stiamo ancora parlando ancora di Dans La Maison il cineasta è già in pista a Cannes con un’altra pellicola; e dopo gli splendidi drammi psicologici di Ricky e Le Refuge, passando per il divertissement (brillantissimo) di Potiche, possiamo dire che pur vantando un curriculum già sostanzioso Ozon è ancora in piena parabola ascendente, e che sì, Ozon si è superato ancora una volta.

Harmony Korine: Spring Breakers

Chiarisco: non conosco il cinema di Korine e riuscire a giudicare la sua ultima pellicola (presentata in concorso all’ultima edizione veneziana) per me non è affatto facile non potendo inquadrarla all’interno della carriera del regista. Detto ciò, appare chiaro che affrontare Spring Breakers richiede di scindere pancia (in questo caso, bassoventre) e cervello senza riserve, e che soffermarsi sul fatto che si vedano troppi tette e culi senza quasi un perchè sia un osservazione sterile, seppur veritiera.

Jonathan Dayton, Valerie Faris: Ruby Sparks

La coppia Dayton/Faris ha aspettato sei anni per tornare sulle scene, dopo aver realizzato un piccolo esempio di originalità americana con Little Miss Sunshine. Avranno preso per un complimento il fatto che molti altri autori abbiano seguito il loro esempio, anche se poi cercando una presunta originalità a tutti i costi, anche se poi perdendosi nella ripetizione di idee e modalità narrative, anche se poi ricercando un certo (auto)compiacimento di (un certo) tipo di pubblico.

Wes Anderson: Moonrise Kingdom

Gli spazi di Wes Anderson si dilatano verso l’aperto e conquistano qualche applauso in più dei soliti accaniti fan del dandy texano.

Matteo Garrone: Reality

Il luogo, Napoli e i suoi palazzi diroccati, i piccoli mercati di piazza; l’ambiente, un ceto popolare mediocre, ultrakitsch, devoto al piccolo schermo e ai suoi fantocci; un protagonista, Luciano, che è la diretta emanazione di questa distorta fetta sociale, ingenuo padre amorevole che cerca di affermare la propria identità, prima innocuamente attraverso piccole esibizioni e poi patologicamente attraverso una morbosa ossessione per il Grande Fratello.