Tom Ford: Animali Notturni

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TOM FORD

Animali Notturni

(USA 2016, 116 min., col., drammatico)

La seconda prova alla regia dello stilista Tom Ford comincia con un ributtante spettacolo feticista di carne tremolante. I titoli di testa scorrono in sovraimpressione sui dettagli corporali di showgirl obese la cui pelle flaccida si agita al rallentatore in una pioggia di scintille e luci sfavillanti. Si capirà trattarsi di una videoinstallazione al centro di una galleria d’arte gestita dalla protagonista Susan (Amy Adams).

Ford costringe da subito lo spettatore ad assistere ad uno spettacolo tanto orrendo quanto superbamente realizzato, suggerendo con pochi shot quello che, nel bene e nel male, rappresenta la principale caratteristica del film: non riuscire a distogliere lo sguardo dall’orrore.


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Animali Notturni è un film ambizioso e sovraccarico di temi fino alla saturazione. La pellicola segue due, anzi tre, linee narrative: la realtà, la finzione e il ricordo. Sul piano della realtà c’è Susan, ricca curatrice di arte moderna con agganci nel bel mondo di New York, la quale si sente in colpa della propria insoddisfazione personale (ha seguito le orme della madre invece che i propri sogni) e relazionale (preferisce non fare caso ai tradimenti del marito di successo). Quando Susan riceve il manoscritto del romanzo scritto dall’ex marito Tony (Jake Gyllenhall), si apre la seconda linea narrativa e si viene proiettati nel romanzo, una brutta e sanguinosa storia di vendetta ambientata in Texas. Le due linee narrative godono praticamente dello stesso minutaggio, e sono strutturalmente intervallate dalle pause di lettura di Susan. Per ambientazione (NY: Spazi chiusi, TX: Spazi aperti), fotografia (NY: colori freddi, TX: colori torridi – menzione speciale andrebbe a Seamus McGarvey la cui fotografia sembra far provare allo spettatore un’alternanza epidermica di caldo e freddo), dialoghi (NY: centellinati e di circostanza, TX: brutali e volgari) e personaggi (NY: artisti e snob TX: teppisti psicopatici e sbirri col cappello) le due linee parallele potrebbero andare a costituire due film in completa antitesi. A creare dei ponti tra questi due film ci pensa, gradualmente e sotto forma di sempre più evidenti rimandi, una terza linea narrativa, ovvero i ricordi di Susan e lo svelarsi del rapporto problematico con Tony.

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La giovane e ambiziosa Susan è troppo cinica per essere un’artista, e Tony è troppo ingenuo e romantico per darle una stabilità materiale. Nella linea narrativa “reale” Ford si prende gioco di una certa pseudocultura dell’indifferenza e dell’arrivismo insita nel mondo dell’arte e della moda che il regista per propria esperienza deve aver sperimentato. In questo piano narrativo ritroviamo a nostro avviso il miglior Ford di A Single Man, specializzatosi nel trasporre il testo sullo schermo anche quando esso è estremamente complesso (entrambi i film sono tratti da romanzi, per la critica, non esattamente facili). Con polso deciso di ritmo e montaggio Ford vuol fare in modo che l’attaccamento dello spettatore alla vicenda sia lo stesso che Susan prova leggendo il manoscritto; i suoi sussulti diventano quelli dello spettatore per identificazione. Ford è particolarmente efficace a catturare le modalità attraverso le quali la lettura va a innescare i ricordi del lettore, le tentazioni con le quali il lettore va a riempire i vuoti con la propria immaginazione, e il perdersi del lettore nei ritmi di ciò che sta leggendo.

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Venendo al secondo piano narrativo, capiamo che tra Tony e Susan la rottura sarà “brutale” ed è in questa “brutalità” che va ricercato il significato della parte di finzione ambientata in Texas. Grazie a una manciata di sequenze da capogiro in questa parte del film, come nei titoli di testa, non si riesce a staccare gli occhi dall’orrore. D’altronde, stiamo sempre parlando di Tom Ford: dagli abiti alla scenografia alla cura dell’inquadratura c’è la firma dello stilista. In un tale marasma narrativo e contenutistico, Ford si ritrova necessariamente a comprimere e chiudere la materia per tenere tutto insieme controllando così ogni singolo dettaglio. Di contro, l’eccessivo controllo finisce per non lasciare spazio e respiro attraverso una cura quasi maniacale. Anche laddove i rimandi testuali sono mal collocati e poco apprezzabili, in quelle scene un pò sgangherate e poco credibili, insomma anche quando la narrazione è carente, arrivano costruitissimi dettagli visivi a salvare la pellicola (per esempio: immagina due corpi nudi femminili esanimi, distesi su una poltrona rossa in mezzo al deserto. E’ poco realistica? Non importa, è d’impatto quindi va bene). Se da un punto di vista questa cura estrema rende pregevole il film, dall’altro lo appesantisce, gli da un taglio impersonale, sclerotizzato.

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In A Single Man, la stessa cura formale si intrecciava ad una maggiore libertà d’interpretazione. Per esempio, molta bellezza di A Single Man veniva da quegli splendidi, “liberi” frammenti di immagini mentali del protagonista rappresentate come fulminee suggestioni visionarie, e un umorismo particolare faceva percepire un attaccamento profondo e personale dell’autore nei confronti dei suoi personaggi, che in Animali Notturni sembrano invece intrappolati nelle loro parti. L’apprezzamento o meno della pellicola dipenderà quindi dal gusto o dalla voglia che lo spettatore ha di veder rappresentata il sadismo nei confronti dei personaggi: in questo film non si salva nessuno, ogni personaggio è impotente, soffocato (solo lo sceriffo interpretato da Michael Shannon dà un pò di respiro – diciamo – umano). Ford sembra poi aver trovato gusto nell’esaltare i piaceri perversi del pulp: la storia sanguinosa di Tony, i dialoghi sopra le righe e poco convincenti, le scene di violenza sovraccaricate. Anche tali sequenze sembrano sempre predeterminate: La sensazione di fondo è quella di un’opera apparentemente magnifica e complessa ma fondamentalmente chiusa in sè stessa, quasi imbalsamata.

Stefano