Mostra del Cinema di Venezia: 4 Settembre


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CONCORSO – Massimo d’Anolfi, Martina Parenti: Spira Mirabilis (Italia)

Due artigiani piegano e lavorano il metallo facendo in modo che produca musica. Uno scienziato giapponese studia una medusa che, trasformandosi, è in grado di ringiovanire. Il marmo viene estratto per fare delle statue, che dal Duomo di Milano devono essere continuamente rimosse, ristrutturate e ricollocate: il tempo distruggerebbe le statue del Duomo, se non ci fosse una fabbrica infinita che ne preserva l’immortalità. Spira Mirabilis è un film che parla di materia, trasformazione e (im)mortalità. Soprattutto, è un commovente atto di fede nella capacità e nella dignità dell’uomo (la storia del popolo indiano confinato nelle riserve) di fronte alla caducità e alla rovina. Ed è, questo, puro cinema di trasformazione: tramite l’utilizzo di sovraimpressioni, ciò che vediamo si rigenera continuamente in uno stupefacente flusso di coscienza per immagini.

 


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CONCORSO – Mariano Cohn, Gaston Duprat: El Ciudadano Illustre (Argentina)

Un celebre scrittore che ha vinto il premio Nobel torna nel suo paese natale, nell’Argentina più profonda. Inizialmente accolto come un eroe, si farà ben presto odiare: il viaggio nei ricordi diventa una specie di incubo surreale popolato da vecchie fiamme, richieste di soldi, groupies disposte a tutto. Divertentissimo ed applauditissimo film sull’abisso che separa gli intellettuali dalla gente comune. Il film è stato girato probabilmente con pochi mezzi, ha infatti una tecnica televisiva, ma ciò che non possiede in stile è compensato da una sceneggiatura pungente e arguta.

 


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SETTIMANA DELLA CRITICA – Keywan Karimi: Tabl/Drum (Iran)

Keywan Karimi è uno dei registi iraniani ai quali, come a Panahi, è stato ritirato il passaporto. Nel suo caso, pende anche una condanna di un anno e 200 frustate. Il suo film è quanto di più ostico si sia visto alla Mostra (e non solo!). Nel film succede poco o niente: a Tehran un pacco viene recapitato nell’ufficio di un avvocato. Quel pacco non si verrà mai a sapere cos’è, e neppure si verranno mai a conoscere i personaggi che ci ruotano attorno. Tabl è un film respingente, quasi estenuante. E girato in un bianco e nero straordinario: è un film di ombre. Le inquadrature sono un capolavoro di composizione, a volte sono volutamente alienanti, storte, fuori asse. Ci sono interminabili sequenze in cui la mdp si muove lentissima in ambienti estremamente degradati. I personaggi parlano, ma con frasi e parole di cui non capiamo l’origine e il fine; in realtà comunque prevalgono lunghi silenzi. Da tutti questi aspetti, è evidente che Karimi debba molto al cinema di Bela Tarr. Col passare dei minuti, non si fa più caso alla storia ma ci si concentra sugli ambienti, si esplora l’inquadratura, si cerca di spremere senso da quel che si sta guardando. Solo per i più coraggiosi.

Stefano