J.C. Chandor: 1981 Indagine a New York

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JEFFREY C. CHANDOR

1981: Indagine a New York

(A Most Violent Year, 125 min., col., drammatico)

(chiameremo il film con il suo titolo originale e non con l’improponibile titolo italiano)

Con tre film alle spalle, il regista americano J.C. Chandor sta facendo della sorpresa la sua specialità. Venuto fuori dal nulla con Margin Call, film sulle origini del crash finanziario del 2008 interamente parlato e per lo più basato sulle interpretazioni dei suoi personaggi, ha voltato pagina con un disarmante cambio di rotta, passando dalla coralità quasi teatrale dell’esordio all’idea puramente cinematografica di un uomo solo in mezzo al mare, nel suo All is Lost – Tutto è Perduto. L’erratica scelta di soggetti rende quindi Chandor un cineasta imprevedibile, e difficilmente si poteva prevedere come seguito un teso dramma ambientato a New York nel 1981, incentrato sulle contraddizioni del Sogno Americano.

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In una carriera nella quale è ancora difficile trovare un filo conduttore, l’inusuale pellicola A Most Violent Year merita tutta la nostra attenzione. Perchè inusuale? Perchè, se fondamentalmente si tratta di una pellicola gangster, l’impianto narrativo e stilistico della pellicola gangster viene ribaltata. Il cinema americano ci ha abituati a pellicole nelle quali uomini onesti si trasformano in criminali quando costretti dalle circostanze; nel film di Chandor, il protagonista si troverebbe nelle circostanze di percorrere una strada criminale, ma al contrario oppone resistenza a ciò che le circostanze presupporrebbero. Abel (Oscar Isaac), è un uomo d’affari immigrato determinato a costruire un impero senza ricorrere alla criminalità. La sua piccola attività di stoccaggio e trasporto di carburante è in procinto di fare un salto di qualità con l’acquisizione di un terminal di silos a Brooklyn. Ma l’attività viene ostacolata da compagnie concorrenti, che rubano i suoi camion e il suo carburante. Sua moglie (Jessica Chastain) ha espliciti contatti con il crimine organizzato e tutto attorno ad Abel sembra suggerirgli di reagire nelle stesse modalità con cui viene attaccato. Come il suo protagonista, un anti-eroe riluttante a risolvere i problemi con la violenza, e che fa di tutto per mantenere alto il livello di moralità, il film è tutto imploso, o meglio in “opposizione” alla tentazione di esplodere.

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Bisogna tenere conto che prima di fare lungometraggi, Chandor dirigeva pubblicità a New York, e che probabilmente ha vissuto nel pragmatico mondo degli affari. Il pragmatismo di Chandor filtra nelle storie che racconta, tanto che il suo approccio non è neppure quello del regista-artista, insomma dell’autore in costante ricerca d’una propria identità che si affanna ad affermare uno stile originale, ma dell’uomo pratico che nel suo film dice lo stretto necessario esponendolo nella maniera più chiara e sintetica possibile. Da qui la sobria asciuttezza di un regista intelligente, che non piacerà ai fan delle emozioni forti a tutti i costi, ma che è particolarmente abile a rappresentare alcune vicende facendo soprattutto capire come funzionano, sia nei loro rapporti di causa-effetto, sia nelle loro sfumature, senza però rinunciare ad alzare la posta, toccando vertici riflessivi di rara intensità: come accadeva nel finale di All Is Lost, o, come, nel film in questione, nel lungo inseguimento in un tunnel in disuso, in una scena che assume connotati che vanno ben oltre l’azione rappresentata; la sensazione è che l’oscurità presagita fino a quel momento diventa all’improvviso tangibile.

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L’oscurità è una componente molto importante che non lascia mai la precisa narrazione di A Most Violent Year. Il 1981 del titolo è un anno nel quale, si dice, è stato registrato il massimo numero di crimini violenti a New York City. Questo dato statistico non rappresenta solo la contestualizzazione storica del film. Pur non rappresentando quasi mai la violenza, tale dato statistico si palesa più volte tra le pieghe del film, caratterizzandolo. Frequentemente e a intermittenza vengono infatti annunciati, alla radio e alla televisione, episodi di cronaca nera. Chandor ci tiene a suggerire che la vicenda si svolge in una società in crisi. Ed ecco quindi comparire un comune denominatore: ogni film di Chandor pare trovare senso in una crisi e nel modo in cui un individuo si pone in confronto ad essa; in ogni caso, l’individuo deve rinunciare a qualcosa per sopravvivere ad essa: in Margin Call Kevin Spacey seppelliva la sua coscienza insieme al suo cane (con tanto di colpi di pala sui titoli di coda); in All is Lost Robert Redford a un certo punto si trova costretto ad abbandonare la sua barca. Abel è il più complesso: attraversa la crisi per piegarla a suo vantaggio.

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In Margin Call, Chandor aveva inserito i suoi brokers in un luccicante mondo di vetro e display, in mezzo ai grattacieli dello skyline di Manhattan. Similmente gran parte delle ambientazioni di A Most Violent Year riflettono l’azione: il sudicio terreno adiacente la linea costiera di Brooklyn, le fabbriche in abbandono, le rotaie arrugginite contrastano con la villa di Abel, nella quale sembra persistere il rischio di invasione da parte del mondo esterno (prima dai ladri, poi dalla polizia). Anche per questo uso degli spazi e degli ambienti Chandor è giunto secondo noi alla sua opera più esteticamente distinta. Con un senso del controllo eccellente, ha infatti creato un lavoro che, in termini di intelligenza, casting e coerenza, lo pone tra i migliori nuovi registi in circolazione.

Stefano