Olivier Assayas: Sils Maria


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OLIVIER ASSAYAS

Sils Maria

(Francia/Svizzera 2014, 124 min., col., drammatico)

A 59 anni e in stato di grazia, dopo aver portato sullo schermo il terrorista narciso Carlos, dopo aver rievocato in chiave autobiografica i moti di protesta giovanili in Apres Mai, Olivier Assayas piazza un altro colpo da maestro con un film che parla del presente, del cinema e di noi.

Non siamo mai stati timidi affermando quanto ci piace Assayas, e anche stavolta non ci gireremo attorno: Sils Maria è un film straordinario. Giudicato da testate importanti sconclusionato e confuso (Sight & Sound ad una prima impressione ha scritto “feels like a gallant misfire”, trad. “ci è sembrata un elegante cilecca” ma è sottolineo una prima, superficiale, impressione manifestata dopo la prima proiezione di Cannes), Sils Maria è al contrario un’opera che abbaglia per la sua nitidezza rifuggendo da ogni imposizione concettuale, e soprattutto da qualsiasi tipo di didascalismo: è quindi un film che non ha pretese di inculcare meccanicamente un’idea, e che è rivolto di conseguenza ad un pubblico che cerca il piacere del cinema, e non grandi verità espresse nel tempo di due ore e nello spazio di una sala buia. Elegante nello sguardo come pochi, Assayas riesce a parlare del presente con la stessa onestà e intelligenza con cui ha rappresentato il passato di Apres Mai. Il suo è un cinema onesto, lineare ma profondo, che scava in profondità senza prendere in ostaggio l’attenzione dello spettatore (che deve rinunciare perciò a sconvolgimenti, melò, colpi di scena e altri espedienti/trucchetti), cullandolo invece, e proponendo un discorso senza necessariamente guidarlo ad una conclusione (che sarebbe la sua, e solo la sua) che solo lo spettatore può raggiungere, se gli fa piacere.

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In Sils Maria Maria Enders (Juliette Binoche) è un’attrice cui viene proposto di recitare nel remake teatrale del film che ha lanciato la sua carriera, all’interno del quale interpretava la parte di una giovane ragazza assistente e seduttrice di una più anziana dirigente (Helen), la cui attrice, all’epoca rovinata dalla parte, si suicidò poco dopo; l’età naturale di Maria ora la predispone a interpretare nel presente la parte di Helena, abbandonata e rovinata, mentre una giovane star emergente (Chloe Grace Moretz) prenderà il posto che fu di lei. Quando però lo scrittore (cui Maria deve tutto il suo successo e al quale era legata) della piece muore, Maria decide di ritirarsi per riflettere e provare le battute (o meglio: entrare nella parte: che causò il suicidio dell’attrice precedente!) nella casa dell’uomo sulle alpi di Sils Maria, Svizzera, insieme alla sua assistente (Kristen Stewart). Nella località di montagna si mettono in moto meccanismi di relazione complessi, sfumati, e imprevedibili. Cos’è quindi, un altro gioco al massacro alla Polanski (Carnage o un’altra osmosi vita/arte, Venere in Pelliccia)? Un’altra Eva contro Eva? Un omaggio al Bergman di Persona? Non proprio. Come si è detto, Assayas non ne vuole sapere di dare risposte o spiegare fenomeni psicologici. Perchè se è vero che in Sils Maria la verità seppellita viene fuori solo attraverso un copione (come in The Master il rapporto tra i due protagonisti era volto ad esprimere come paradossalmente la falsificazione porti, in fondo, a realizzare una una verità; in questo senso, nei soli termini di complessità dei rapporti umani basati sul potere e sulla suggestione, Sils Maria è un The Master declinato al femminile), il regista ci ricorda che c’è altro. Mentre Maria affronta i suoi dubbi, intorno a lei il mondo va avanti per la sua strada, tanto che a un certo punto Assayas perde di vista (letteralmente, fuori campo) l’oggetto del film (Maria e le sue incertezze) abbandonandosi a ciò che circonda l’oggetto mentre si forma un serpente di nuvole, che, formandosi sui laghi italiani, risale tra le montagne mentre suona il canone di Pechabel. La fragilità umana sarà anche il motore del film, ma non il suo centro, mentre viene rivelato quanto questa fragilità componga solo una parte dell’insieme. Ancora una volta Assayas mostra le articolazioni del mondo, sceglie di non fossilizzarsi sul dettaglio (un solo protagonista con il suo punto di vista), realizzando con chiarezza impareggiabile un film-specchio sul cinema e su come esso cambi (e cambi le persone) col passare del tempo; e quindi di riflesso un film sulla vita e sulla sua rappresentazione, andando, come sempre, nella direzione della complessità.

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Complessità che non è solo quella dell’individuo e di quello che lo circonda, ma del tempo in cui vive. Sils Maria è non a caso ambientato in larga parte tra le alpi svizzere, luogo fuori dal tempo in cui il presente tende a irrompere attraverso il medium tecnologico (Ipad, smartphone ecc.) che rimane com’è giusto un medium e basta, e non lo spunto per sbilenchi e tirati giudizi sulla dipendenza dalla tecnologia. Così è anche per il cinema; tra i tanti elementi che lo compongono, dei quali nessuno è davvero afferrabile perchè sfuma in un altro, Sils Maria è anche un film sul cinema, com’era Apres Mai, e i suoi cambiamenti. Non mancano i riferimenti metacinematografici del gossip, delle superstar con problemi di comportamento (alla Miley Cyrus, finti e “studiati”, per l’appunto), dei film di supereroi, dei social network, del nuovo ruolo dell’attore più entertainer che artista, e più in generale non mancano riferimenti ai mutati punti di riferimento delle nuove generazioni. Eppure, non c’è giudizio morale/intellettuale su questi cambiamenti. Assayas osserva questa evoluzione, non la giudica. Sa che il modo migliore di affrontarla è di farlo con serenità, lungimiranza, cercando il buono nel nuovo, senza criticare e rimpiangere il passato.


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Sils Maria è la prova che il valore di un film deriva da più del risultato della somma di contenuto e stile. La grandezza di Sils Maria deriva più che dal contenuto (che può anche lasciare indifferenti) e più che dallo stile (privo di virtuosismi come non mai nella carriera del regista), dalla sincerità e dalla trasparenza con cui si rappresenta la vita, senza esagerazioni drammaturgiche e trucchi/costruzioni di sorta. Rinunciando ad ogni semplificazione e sentimentalismo, e quindi ad ogni facile via di coinvolgimento (e qui i giornalisti possono scrivere dandoci sotto: non c’è empatia, non c’è cuore, non c’è azione e altre sciocchezze del genere) Assayas firma lo stesso un altro capolavoro.

Stefano

  • Christian

    Film molto ambizioso, ottimamente recitato (che sorpresa la Stewart!), ovviamente teatrale, emotivamente freddo. Interessante, ma a mio parere non certo un capolavoro.

  • http://www.icineuforici.com Stefano

    In effetti dovrei usare meno spesso la parola “capolavoro”, perchè “capolavoro” sembra sottintendere un film in cui tutti possono concordare sull’efficacia di realizzazione, sulla pregnanza di contenuti ecc. Però, ecco, per me sì, è quanto cerco in un film, è un capolavoro “per me”.