Lech Majewski: Onirica. Field of Dogs


locandina

LECH MAJEWSKI

 

ONIRICA. FIELD OF DOGS

(Ita., Pol., Swe. 2014, 102 min., col., drammatico)

 

Lech Majewski chiude il trittico dell’Arte con un’opera importante. Dopo lo studio di Hieronymus Bosch in Il giardino delle delizie e di Pieter Bruegel in I colori della passione, l’artista poliedrico con Onirica. Field of Dogs si affida a Dante. Regista, pittore e scrittore, Lech Majewski è un intellettuale del cinema. Gonfi di “conoscenza” (e non di citazioni) le sue pellicole permettono al cervello dello spettatore di lasciare la tangente e d’intraprendere sentieri inusuali. Onirica. Field of Dogs non lascia indifferenti.

Dopo un incidente stradale in cui perdono la vita la moglie e il miglior amico, Adam lascia il mondo universitario. Da studioso di poesia simbolista egli si trasforma in cassiere narcolettico. In questa fase della sua vita, perso in una selva oscura, si trastulla ascoltando la Divina Commedia con le cuffie, mentre catastrofi si abbattono sulla Polonia e sogni simbolici tormentano il suo sonno.

Non si dovrebbe collocare Onirica nelle categorie di “bello” o “brutto”. Ovviamente non si dovrebbe in nessun caso, ma ancor più

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in questa circostanza. I lavori di Majewski, infatti, trascendono questa dicotomia della collettività, preferendo la sensibilità individuale oltre che, ben inteso, la conoscenza del singolo. Per farla breve, e per trovare un punto d’appoggio su cui iniziare a riflettere, è possibile sostenere che: se non si è l’autore, non si può comprendere nella sua integralità Onirica. Il compito del critico, come tale, è di osservare ciò che è mostrato e, inconsapevolmente, collegarlo alle proprie conoscenze. Si è convinti pertanto che per comprendere il più possibile la pellicola in questione, sarebbero state necessarie notti tranquille al liceo e una mente sveglia durante le lezioni. Onirica è conoscenza.

Il rapporto cardine che regge l’intero film, è, pertanto, quello fra il singolo e la collettività. Le domande da porsi sono numerose e vertono intorno a questa relazione. Di che natura è tale legame? È ancora possibile una siffatta sintonia? Osservando Onirica non si può non costatare uno sfilacciamento di questo rapporto. Facendo uno parallelo con la difficoltà dello spettatore nell’approcciarsi all’ultimo lavoro del regista polacco, è possibile sostenere che il mondo reale è oscuro ad Adam quanto la pellicola al pubblico. L’anno 2010 fu nefasto per l’intera Polonia: piogge incessanti, inondazioni ripetute e l’incidente aereo che coinvolse l’intera delegazione presidenziale. Il lutto nazionale (o l’impossibilità di tale) lascia del tutto indifferente Adam; è il minore dei mali ai suoi occhi. Egli ha visto sparire in un istante l’amico e la fidanzata. Nessuno è interessato al problema del singolo, mentre i media gongolano di fronte a certe notizie nazionali. Neanche la zia aiuta veramente Adam: essa è più preoccupata dell’Adam reale che non delle perdite dello stesso. Certo i suoi consigli sono preziosi (Heidegger a raffica), ma non permettono d’instaurare un vero legame con Adam, con il singolo. Lo sfilacciamento sembra irreparabile.

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Perso nella selva oscura della Polonia del 2010, ad Adam non resta che ritrovarsi e ritrovare l’amata nel sonno. Come in I colori della passione, Lech Majewski riprende ed elogia un senso su tutti gli altri. Onirica è un elogio alla vista. Lo spettatore gode di fronte a ciò che è proposto e Adam, si salva esteticamente vedendo con gli occhi del sogno. Il reale non è più per Adam il mondo quotidiano, ma quello onirico. La realtà è da ricercare in esso perché lì, e solo lì, è possibile restaurare un legame unico con la collettività. È bene precisarlo: questa “seconda” collettività non è quella che tutti possono vedere ogni giorno, ma è quella paradossale del singolo. Ognuno di noi in Onirica può vedere quello che vuole, anche se tutti vedono la stessa cosa. Noi, voi e loro vedranno dei buoi che arano il supermercato, ma solo io vedrò ciò che risiede dietro a questa immagine. Nessuno potrà vedere ciò che percepisce Adam, né tantomeno cosa ha visto il regista. Ecco perché non è possibili cogliere appieno la portata delle visioni oniriche del film. Onirica, Holy Motors o Faust sono riflessioni che vanno al di là di una semplice visione. Il viaggio di Adam nel suo inferno (vita reale), nel suo purgatorio (sogno) e nel suo paradiso (l’amplesso fluttuante con Beatrice) è un viaggio personale di tutti e di nessuno, per riallacciare un legame con qualcosa che si può modificare: il reale.

Film talmente ampio, talmente possente, talmente sfacciato e in grado di affrontare lo scibile come pochi altri. Onirica ara parti dell’Io ancora incolte; lascia il cuore dello spettatore in una teca, lo invita in una foresta immobilizzandolo in compagnia di altri astanti, lo fa passeggiare insieme a un angelo e poi lo purifica con una cascata d’acqua nella sua chiesa: la sala cinematografica.

In Onirica questo è stato visto, ma altro può essere ancora detto.

Mattia Giannone